Cultura e Spettacoli

Di Padre in figlia: spaccato di un periodo storico o esasperazione di un’epoca?

In questi giorni è andata in onda la fiction “Di padre in figlia”, ambientata a Bassano del Grappa nel periodo di tempo compreso tra la fine degli anni ‘50 e i primi anni ’80.La narrazione, resa attraverso le vicende di un nucleo familiare utilizzato come “famiglia-tipo”, rappresenta un vero e proprio spaccato della società italiana di quegli anni. Sono decenni duri, quelli in cui dietro all’apparenza di famiglie perfette, sostenitrici dell’amore e del moralismo, si nasconde la vera vita che è tutt’altro che idilliaca: uno spaccato di società del quale dovremmo tutti turbarci, nonostante faccia parte della storia del nostro passato.In questo falso quadretto familiare l’uomo viene visto sinteticamente come un essere quasi brutale, interessato soltanto al denaro, alle donne e ai piaceri; la donna, di conseguenza è la vittima sacrificale, schiacciata dallo strapotere maschile che comincia proprio in quagli anni la lotta per la conquista di una propria identità, dei suoi spazi e di forme di riscatto negli studi, nel lavoro, nel sesso, nella società.Attraverso la visione della fiction ci si rende conto di tutti i progressi realizzati dalle donne nel corso del tempo: Il “sesso debole” è diventato molto più forte perché ha imparato a combattere per i propri diritti e per la conquista della sua dignità e del suo posto nella società. La donna si riscatta, finalmente impara a non piegarsi al volere degli uomini e inizia a pensare ed agire con la propria testa.Tuttavia, alla fiction potrebbe essere mossa qualche critica: la narrazione in alcuni tratti sembra essere un’eccessiva trasmigrazione degli eventi di quegli anni. Sembra quasi il tentativo di un eccessivo svilimento di tutto ciò che è stato alla base del boom economico degli anni ’60: dell’individuo, della famiglia e dell’impresa a gestione familiare.L’individuo, è infatti descritto come un egoista che pensa unicamente a metter su la sua fortuna; la famiglia viene descritta come una sorta di gabbia da abbandonare perché soffocante, in quanto costituisce soltanto un’unione di facciata fondata sull’ipocrisia perbenista della borghesia, nella quale invece spesso si nascondono violenze domestiche, umiliazioni e subordinazioni; infine l’impresa familiare, vero fiore all’ occhiello della crescita economica di quegli anni, è invece descritta come luogo di profitto, in cui si esaspera la discriminazione di genere, e nella quale si intessono affari loschi volti a ingannare il fisco.La fiction In realtà si presenta più che altro come la  descrizione di tutti i peggiori aspetti della famiglia patriarcale: il capofamiglia è Giovanni Franza, un uomo senza scrupoli, fedifrago e disposto a tutto pur di avere successo. È autoritario e prepotente non solo in famiglia, ma anche nell’azienda che dirige; il genero di Franza è un ubriacone, drogato e manesco. Anche le donne di famiglia, tutte vittime di una società maschilista, non riescono a reagire in modo costruttivo alle vessazioni e alle sottomissioni: la moglie di Franza che dopo aver subito numerosi tradimenti dal marito, si emancipa da lui, tradendolo a sua volta; la figlia più talentuosa che non riesce a far carriera come desira perché ostacolata dal padre; la seconda figlia, Elena, che non volendo rinunciare al sogno di fare la modella, arriva ad abbandonare il marito e le figlie e infine l’ultima figlia Sofia, che trascorre una vita di eccessi, fatta di droghe e alcool.Un’immagine a tratti irritante perchè eccessiva ed esacerbata. Non tutte le famiglie in quel periodo storico sono delle gabbie in cui si vivono situazioni di degrado come quelle descritte. Inoltre non si può dimenticare che nel nostro Paese quegli anni sono anche quelli delle grandi conquiste sociali.

Marina Basile

 


Pubblicato il 5 Maggio 2017

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