Dialetto sì, sempre, sempre che…
Trent’anni fa a Bari veniva stampato in tiratura limitata ‘Bari, sole & cerase’, un 33 giri dove un testo di quel talento poliedrico che fu Vito Maurogiovanni era musicato da Gianni Giannotti e raccontato dal compianto Riccardo Cucciolla. Poi di questo lavoro si persero le tracce. Ma cinque anni fa, nel ventennale dell’Auditorium Diocesano Vallisa, Terrae, l’associazione culturale che orbita intorno a Rocco Capri Chiumarulo, ripropose dal vivo questo “prezioso scrigno” di raffinata poesia. A un anno dalla scomparsa di Piergiovanni, ‘Bari, sole & cerase’ diventa un audiolibro a cura ancora di Terrae. Questa volta la voce è di Rocco Capri Chiumarulo (ma una lirica, ‘U sole’, è letta dall’Autore), mentre il complesso orchestrale che esegue le musiche è grosso modo lo stesso della fortunata riproposizione di cui prima. Arricchito di alcuni scatti di Nicola Amato e di illustrazioni a china di Piergiovanni, il libro raccoglie una ventina tra poesie e qualche quadretto di schietto gusto popolare (Gismondo lo scritturale, Bastiano lo sgagliozzaro, la giovane rimasta senza marito). La poesia e la prosa di Piergiovanni sono rappresentativi di quella poesia vernacolare che prima ‘ferma’ l’immagine poi la racconta con un senso del colore venato, ma non appesantito, di malinconia nostalgica. Non abbiamo idea di come Riccardo Cucciolla rendesse questo colore, ma il lavoro di Rocco Capri Chiumarulo ci appaga. Ascoltando il cd ci è balzato in mente la capacità che ha il nostro idioma di cambiare – e profondamente – da bocca a bocca. Quando sulle labbra di popolani pacati e di sentimento nobile, il nostro dialetto è addirittura delicato ; l’asprezza araba s’ingentilisce per cui scatta una musicalità serena che non t’aspetti e che seduce. Ma allora che cade nelle fauci di plebei ruvidi, esso diventa altra cosa, dà di ottuso e sguaiato, dà di grezzo e d’oscuramente minaccioso. Se le stesse liriche e gli stessi bozzetti che Rocco Capri Chiumarulo rende con un entusiasmo ed una freschezza in cui palesemente palpitano rispetto e rapimento, venissero affidate alla voce di uno dei tanti cialtroni che si piccano di rappresentare la baresità su questo e quel palcoscenico, ebbene si vedrebbe la medesima poesia sfiorire in quell’impeto gratuito ed auto compiaciuto, rumoroso e scabro e per sopramercato afflitto da una gestualità rozzamente enfatica, che segnala la categoria degli ‘zampi’, volendo adoperare con dolore un termine entrato a tal punto nel linguaggio comune da contribuire a dare titolo ad un recente successo editoriale di Francesco Saccente. Ma non affliggiamoci, esistono ancora condizioni alle quali parlare il nostro dialetto non è ragione di vergogna. Ringraziamo i vari Piergiovanni, Lopez, De Fano… E ringraziamo i Cucciolla, i Capri Chiumarulo e gli altri che vorranno mantenersi nel solco d’un espressione squisita e sobria della lingua madre.
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Pubblicato il 25 Gennaio 2011