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Diminuito il numero dei parlamentari, ma nessuno tocca gli inutili e costosi Municipi

In Italia si può riformare la Carta costituzionale, tagliando il numero di parlamentari da 945 (630 alla Camera e 315 al Senato) a 600 complessivamente, ossia 400 per l’aula di Montecitorio e 200 per quella di Palazzo Madama, ma guai ad abolire gli inutili e dispendiosi istituti di decentramento comunale di quartiere, il cui costo dei politici che tengono in vita Presidenza e Consiglio di Circoscrizione, o Municipio (come a Bari), con il decreto del Viminale n.119 del 4 Aprile del 2000 sono lievitati, insieme alle indennità dei sindaci, assessori e consiglieri comunali, in maniera abnorme e non certi irrisoria anche per i Comuni come Bari, dove il decentramento è solo una chimera, che però eroga indennità di funzioni (al Presidente e gettoni ai consiglieri) che non giustificano la tenuta in vita dei Municipi di decentramento amministrativo, poiché i costi annuali per i politici che vi fanno parte sono di gran lunga superiori alle somme a loro disposizione per le piccole attività gestionali ad essi affidate, di volta in volta, dall’Amministrazione comunale centrale.  Ed è esattamente questo il caso del Comune di Bari, dove ultimamente la somma annuale attribuita dal Bilancio in gestione a ciascuno dei 5 Municipi di decentramento è poco meno di 100mila Euro, e quindi circa 500mila Euro complessivi, a fronte di un costo medio complessivo che, per il loro mantenimento in vita, si aggira annualmente (tra costi diretti ed accessori) fra 1,5 e 2 milioni di Euro. Basta questo dato a rendere l’idea dello sperpero di denaro che il mantenimento in vita dei 5 Municipi del finto decentramento comunale baresi comporta per le cassa pubblica. Risorse comunali, queste, che potrebbero benissimo essere impegnate in aggiunta di servizi comunali carenti od a sostegno di quelli inesistenti, o per interventi ordinari e straordinari effettuati in modo carente o non effettuati affatto dal Comune di Bari, per insufficienza di risorse. E non ci si venga a dire che l’abolizione dei Municipi di decentramento amministrativo (- come è noto – facoltativi dal 2010 per i Comuni con popolazione non inferiore a 250mila abitanti che in precedenza lo avevano come obbligo!), sarebbe una contrazione di democrazia per il popolo, perché tale giustificazione è a dir poco ridicola per il mantenimento in vita di un istituto elettivo che è alla stregua di un Ufficio interno del Comune (che è già esso un istituto elettivo) e la cui utilità è unicamente a vantaggio dei pochi politici che compongono il consesso amministrativo del Municipio e di quelli del livello a loro superiore, vale a dire sindaco e consiglieri comunali, che durante le elezioni si avvalgono dei candidati dei Municipi di decentramento come “portatori d’acqua” per la loro affermazione sugli scranni del Comune. Infatti, a Bari, terminata la tornata elettorale amministrativa, i presidenti ed i consiglieri dei 5 Municipi di decentramento amministrativo sono figure politiche del tutto insignificanti sul piano amministrativo, poiché da quando quarant’anni or sono il decentramento è stato istituito in via diretta, con l’elezione a suffragio universale di coloro che dovrebbero decidere per le sorti interne al quartiere, nessuna delle Amministrazioni che si sono succedute ha mai affidato a questi poteri concreti, neppure in merito a decisioni riguardanti esclusivamente questioni interne ai quartieri da questi rappresentati. Anzi, a Bari il più delle volte le scelte effettuate a livello centrale sono state realizzate in contrasto netto con quanto richiesto o proposto dai mini consigli dei Municipi. Infatti, nel capoluogo pugliese, città attualmente di circa 320mila abitanti, gli istituti di decentramento amministrativo erano e sono unicamente istituti interni al Comune con funzione prevalentemente consultiva ed i loro presidenti ricoprono il ruolo di semplici delegati che, se espressione della stessa coalizione politica del Primo cittadino, sono – come a Bari attualmente – stati indicati per quel ruolo già da candidati per espressa scelta del candidato poi eletto sindaco. E, quindi, come nel caso attuale, i presidenti dei 5 Municipi baresi alla fine non sono stati neppure i territori ad indicarli, ma solo a votarli, poiché “imposti” già all’atto della candidatura da chi era in corsa per la poltrona di sindaco. Pertanto i presidenti dei cinque istituti di decentramento barese sono a tutti gli effetti dei delegati la cui nomina potrebbe essere effettuata a posteriori dal Primo cittadino, senza che per questo possano paventarsi menomazioni democratiche di sorta nella vita amministrativa comunale. Per la cronaca, ricordiamo che dal 1981 fino a giugno del 2000 i costi per i politici impegnati negli organi del mai attuato decentramento comunale di Bari erano praticamente irrisori, come irrisorie sono le loro responsabilità politico-amministrative. Invece, a causa delle intervenute novità sopraggiunte sia con il Testo Unico sugli enti locali del 2000 che con la legge n.266 di inizio agosto del 1999, anche le indennità dei politici eletti negli istituti di decentramento comunale sono cresciute vertiginosamente, al punto che in talune città capoluogo di Regione, soprattutto se anche capofila della “Città metropolitana”, come nel caso di Bari, ci si trova nel paradosso che il costo dei presidenti e consiglieri di Municipio, sono in certi casi addirittura paragonabili, o addirittura superiori, a quelli di sindaco e consiglieri comunali di realtà di pari popolazione, come nel caso del IV e V Municipio di Bari. Ossia di quello di Carbonara-Ceglie-Loseto e di Palese-Santo Spirito. E cioè politici di organi senza poteri che guadagnano di più o alla stregua di quelli che sono a capo di realtà comunali autonome e su cui comunque ricadono responsabilità di gran lunga maggiore di quelle (irrilevanti) dei politici municipali baresi. Un paradosso ordinamentale che, con l’entrata in vigore della recente riforma Draghi delle indennità dei sindaci, rischia di diventare ancora più assurdo, da momento che il Primo cittadino di Bari, Antonio Decaro, in base ai nuovi criteri vedrà, nell’arco di un triennio, equiparato il proprio emolumento mensile di sindaco a quello del Presidente della Regione Puglia. Ed essendo – come è noto – anche gli emolumenti dei presidenti e consiglieri di Municipio (oltre a quelli degli assessori, presidente e consiglieri comunali) parametrati a quelli del sindaco, allora dal prossimo anno i costi dei politici presenti nei 5 Municipi baresi sono destinati a lievitare ulteriormente ed a dismisura anche rispetto a quelli degli amministratori di realtà comunali di minore o pari popolazione dei due suddetti Municipi. Ed è per questo, infatti, che a Bari sono ormai in molti fuori dalla “casta” politica cittadina a ritenere che “forse sarebbe ora che l’Anci (ndr – ossia l’Associazione nazionale dei Comuni italiani guidata dal sindaco barese, Decaro) portasse all’attenzione del governo Draghi e del Parlamento la soppressione dell’istituto di decentramento politico per i Comuni dove non esiste un reale decentramento o per le realtà comunali dove, per dimensioni territoriali e di popolazione, il decentramento non serve”, come nel caso di Bari! Diversamente, con la recente riforma Draghi, nel caso di Bari, si continuerebbe a sperperare ancor di più risorse pubbliche per mantenere in essere “poltrone” politiche costose ed inutili, come quelle dei cinque Municipi di decentramento barese, che sarebbero un vero e proprio pugno nello stomaco a quanti nella collettività barese non ricevono dal Comune i servizi o aiuti dovuti o sufficienti e necessari. Mentre si continuerebbero a mantenere dei “privilegi” per una rappresentanza politica superflua, oltre che inutile, qual è per l’appunto quella degli istituti del finto ed inesistente decentramento comunale barese.

 

Giuseppe Palella


Pubblicato il 9 Novembre 2021

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