Dopo l’ulivo… ancora l’ulivo
Nel Salento la Xyella Fastidiosa ha messo al tappeto 230 chilometri quadrati di ulivi che dovranno essere abbattuti. Si spera nel più prossimo avvenire di ripristinare la ‘foresta’ perduta. Ma serviranno anni. Nel frattempo che ne sarà dell’industria dell’olio? Il timore è che non potendo contare su sostegni comunitari, governativi o regionali, molti agricoltori scelgano di sostituire colture millenarie con piante di kiwi, pesca, albicocca… Per questo motivo, cinque giorni fa, la Giunta Regionale ha stabilito l’impossibilità del cambio di destinazione d’uso per i fondi al momento infettati dal batterio killer. Il disegno è non stravolgere un paesaggio storico. Anzi, per meglio dire, ‘non finire’ di stravolgere lo stato delle cose. E’ diventata irriconoscibile questa Puglia nel giro di trent’anni. Dove più, per esempio, i mandorleti? Buttati giù senza pietà, trasformati in legna da ardere dal momento che il prodotto californiano costa meno di un terzo. Stessa sorte per i piccoli vigneti. Divelti dai trattori, vitigni antichi quanto rari sono stati cancellati dalla memoria, convenendo oggi la coltivazione solo dei grandi appezzamenti. E non si vedono più terreni coltivati a grano, orzo o biada nemmeno in Capitanata. Al solito, costa meno importare frumento dai paesi asiatici. E stanno sparendo o stanno languendo (che è l’anticamera dell’abbattimento) fichi, melegrane, mele cotogne, prugne… Tutto ciò è anche frutto dell’eccessivo smembramento delle proprietà. Se i ricavi di un fondo di mezzo ettaro sfruttato a monocoltura sono pareggiati dai costi di esercizio (per non dire dell’imposizione fiscale), l’unica è mettere mano alla motosega e lasciar rinascere l’antico latifondo, sia pure a pelle di leopardo. Fino a prima del disastro Xyella questi vuoti venivano colmati da piantagioni di ulivi di nuova generazione, creature figlie dell’ingegneria genetica, capaci di produrre drupe già dalla prima stagione e bisognose di uno spazio vitale inferiore ai quattro metri quadrati. Di ulivi così ne sono stati piantati forse un milione, col risultato di spingere tanto in alto la produzione da far crollare i prezzi a tutto vantaggio dell’olio d’oliva che viene dalla Grecia o dal Maghreb (e buon per noi che tengano ancora i mercati nipponico e statunitense). Adesso, con l’avvento del batterio killer, nessuno più si azzarda a piantare ulivi e i cartelli che invitano all’acquisto questo o quel pezzo di terra si moltiplicano, ingialliscono sotto il sole perché se il mercato immobiliare cammina in città come una lumaca, in campagna è fermo. E il cane si morde la coda. Al più, altri fabbricati colmeranno i vuoti a rendere l’antropizzazione ancor più tentacolare. Ma vogliamo essere ottimisti. Torneranno a sfolgorare gli ulivi nel Salento, prima o poi. Speriamo non troppo tardi e speriamo anche non al prezzo di cariche di dinamite per abbattere ecomostri.
Italo Interesse
Pubblicato il 5 Settembre 2014