Cultura e Spettacoli

Elzeviro. De iuventute

In “ Sogno e sono desto”, varietà televisivo di rai 1 condotto massimo ranieri, mandato in onda sabato, 25 gennaio 2014, tra gli ospiti c’era Giorgio Albertazzi, il grande Attore – Giovane di 93 anni. Ebbene, Albertazzi, dialogando con ranieri e facendo riferimento alla sua veneranda Età che, ancora, Gli consentiva di Calcare con Successo la Scena, quasi fosse un giovincello di “primo pelo”, Citò una Frase di Pablo Ricasso: ”Per diventare giovani ci vogliono molti anni”. Siffatta Frase mette in discussione tutto il “giovanilicume” mediatico, soprattutto, dettato dalla sponsorizzazione, altrettanto mediatica, commerciale,  che ha fatto della “carne imberbe” (ovviamente, è solo un modo “abitudinario” di connotare  gli appartenenti alla classe d’età dei quindicenni ed oltre, ma non eccessivamente oltre, ché oggi non ci sono più imberbi, in quanto, appena la pubertà ricopre di timida peluria i genitali maschili, la moda, la tendenza costringe, impone a coloro che non saranno, giammai, liberi e, quindi, giovani, di imbruttirsi il volto con una prematura coltre di peli) la sola degna di apparire, non di Essere sulla “faccia della terra”. A Dire il Vero, il potere mediatico, in nome e per conto del potere ”tout court”, è  il sostituto, ormai, di tutte le agenzie educative: la famiglia, la scuola, il partito, la sacrestia, in cui operano, si fa per dire, come educatori, i cascami del sessantotto, riciclatisi nei neofiti del consumismo, che non hanno altra funzione se non di ratificare le decisioni, i progetti di chi lassù può ciò che vuole su come implementare la produzione dell’effimero uomo che  ostenta se stesso, identificandosi con le cose, le protesi, di cui si appesantisce, sostituibili, facilmente, senza eccessivi rimpianti, con altre di nuova generazione. Non dell’Uomo che E’ per le sue inalienabili, irrevocabili Conquiste Spirituali, Intellettuali, per la sua Libertà interiore, la cui Scaturigine va Ricercata nella quotidiana, personale, originale Liberazione da tutte le catene, di cui la normale, pigra massa umana non ha avuto, non ha la forza e, nemmeno, la fantasia di disfarsi. Come altra volta abbiamo Scritto e Ribadito, per Capire l’autentico significato delle parole a un interlocutore destinate, che usiamo nel presente, è un Dovere etico andare nel passato alla ricerca dei fondamenti sociali, politici, economici, linguisticamente sottintesi, di esse. Quali, dunque, quelli dell’aggettivo e sostantivo “giovane”? “Giovane” per i romani era ”qui iuvabat rem publicam”, cioè colui che, avendo compiuto 18 anni, era in grado di giovare alla repubblica, diventando legionario, offrendosi ad essa come “carne da macello” e, avendo, come valore aggiunto, diciamo, gli organi sessuali ben sviluppati e lubrificati, era in grado di produrre altra “carne da macello” per rimpolpare le legioni romane, dalla fondazione di roma, fino alla sua caduta, impegnate in politiche imperialistiche, prima, nella difesa, poi, dei confini dell’impero pressato da popoli che, quasi per effetto “domino”, s’accalcavano nelle immediate vicinanze di esso, incalzati da altri popoli, provvisoriamente, stanziali alle spalle di essi. E’ la poesia, purtroppo, prima in grecia, in seguito in roma a nobilitare il “giovane”  che muore in combattimento in difesa della patria, della propria terra, della sposa, dei figli. ”La morte è bella quando il prode combatte in prima fila e cade per la patria” (Tirteo, 10, 1-2). Menzogna, confermata, eziandio, da Platone nel “Simposio” e da Aristotele nella “Retorica”, che bella sarà la morte conseguita coprendosi di ”kleos”(di gloria) sul campo di battaglia. Orazio, perfino, l’epicureo, il pacifico, antiretorico per eccellenza, si fa piffero dell’ideologia imperialistica che esalta la morte bella in combattimento in difesa dei valori, altrettanto, imperialistici degli dei autoctoni, della patria, della famiglia: ”Dulce et decorum est pro patria mori” (Odi, III, 2, 13). Con questo celebre verso Orazio stimola i giovani romani ad imitare le virtù e l’eroismo guerriero dei loro antenati. “En passant”, non a caso, il medesimo verso oraziano è riportato su una lapide, all’ingresso del cimitero di parma, in memoria dei caduti della nazifascista repubblica sociale italiana. Abbiamo, testé, definita menzognera l’ideologia della “bella morte” per testimoniare valori, medesimamente, menzogneri, che, pure testé, abbiamo Indicato, CI conforta, comunque, che Wilfred Owen (1893 – 1918), Poeta inglese, morto a 25 anni in battaglia una settimana prima della fine della I guerra mondiale, abbia Scritto la famosissima Poesia ”Dulce et decorum est pro patria mori”, dando al verso oraziano il significato opposto a quello dato dal Poeta venosino e a quello dato dalla tradizionale, tronfia esaltazione della guerra: ”Se in qualche orribile sogno… /se solo potessi sentire il sangue…/fuoriuscire gorgogliante dai polmoni guasti di bava, /osceni come il cancro… /amico mio, non ripeteresti con tanto compiaciuto fervore / a fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate, / la vecchia menzogna: Dulce et decorum est pro patria mori”. Anche nella nostra quotidianità i giovani, ciò diciamo con immenso Dolore, specie quelli appartenenti alle classi popolari, sono tali ché “giovano” alla repubblica delle banane, qual è diventata la nostra italietta: non hanno passione disinteressata per il Bello, per i Valori Culturali in generale; non hanno il puro Desiderio di Conoscere. Li ha, idiotamente, formati il tubo catodico, sia del servizio pubblico, che delle televisioni commerciali; quando va bene il sacerdote della cultura media, letteraria e musicale, il fabio fazio, nel suo salotto televisivo, passerella, non sempre, ma quasi, di autori, di artisti mediocri, li convince che non bisogna gustare, amare altro nettare artistico- culturale, se non quello che egli loro propina; quando va male c’è la de filippi, jerry scotti ed altri squallidi cortigiani a far loro da mentori del brutto, quindi, del male e del malaffare. La crisi morale, etica, che è diventata cronica, endemica in ogni settore della società italiettina, è causata anche dalla carenza di strutture culturali, ove si diventa Migliori, come Assevera Nuccio Ordine in “L’utilità dell’Inutile”; in quelle poche esistenti i nostri giovani sono restii a mettervi piede, preferendo luoghi di perdizione mentale, intellettuale, morale, quali gli stadi, le discoteche o postazioni mangerecce, culinarie. A bitonto il sindaco,  i politicanti di ogni colore, anche se, ciò che fa da sfondo alla apparente diversità cromatica di essi, è il nero fascista, enfatizzano le luci, che s’accendono nel centro storico, di bar, ristoranti, di luoghi di miserabile evasione, e non s’accorgono che non sono luci di Luce, ma luci che, come Proclama Hugo, illuminano, materialmente, parti della città, “tamen” c’è il pericolo che per quelle luci ”la notte può scendere nel mondo morale”. In “borghi selvaggi”, come bitonto, con la disoccupazione  giovanile al 40%, come fanno codesti giovani, ogni sera, ad entrare e uscire da locali in cui bisogna sperperare euro nel consumare bibite, leccornie di ogni specie per poter, così, essere considerati graditi ospiti ? Allora, si va a rubare, si delinque, si spaccia droga al dettaglio per gonfiare il “portazecchini” dei grossisti di essa, dei clan mafiosi, che non esisterebbero, se non ci fosse l’ ”estalishment” politico, a tutti livelli, organico ad essi. “…bisognerebe, continua Hugo, far entrare dovunque la luce nello spirito del popolo, perché è a causa delle tenebre che si perde”. Ma il popolo bue e i suoi fantoli, con la loro apatica rassegnazione, sollecitando il potere a fregarsi le mani per la soddisfazione di avere sudditi che, ad onta della scolarizzazione di massa, è rimasto bue, irride i Pochi, come NOI, i quali Cercano di far loro Capire che un paese non, assolutamente, attratto, commosso dall’ ” Utilita” dell’Arte, da un ministro, come tremonti, considerata inutile per soddisfare i bisogni primari degli ”animalia”, è un paese, a Detta di Jonesco, ”di schiavi e di robots, un paese di persone infelici, di persone che non ridono né sorridono, un paese senza spirito; dove non c’è l’umorismo, non c’è il riso, c’è la collera e l’odio”. Per Capire il Messaggio degli Intellettuali, che abbiamo Citato, e il Nostro Messaggio ci vogliono anni, come ci vogliono tanti anni, a DirLa con Picasso, per Diventare, veramente, autenticamente, “GIOVANI” che non fanno gli interessi del potere o dei poteri di turno, ma,  Parafrasando Aristotele della “Metafisica”, abbiano fame e sete di una “scienza non produttiva”, siano Catturati dalla Meraviglia di tutte le epifanie, ovvie, ricorrenti, eccezionali, nelle relazioni tra gli uomini, tra gli uomini e la Natura. Dalla Meraviglia i GIOVANI, quelli veri, Traggano lo Spunto per Riflettere e dal Riflettere un Canto e dal Canto un’ Utopia e dall’Utopia l’Azione energica, virile per un Mondo che non c’è mai stato nei millenni, perché ciò che è nel Regno dell’Immaginazione non può non esserci nella Realtà.

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano

pietroaretino38@alice.it.      


Pubblicato il 28 Gennaio 2014

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