Cronaca

Emergenza in Puglia per il lavoro nero

Ora i “caporali” rischiano il carcere. E’ questo l’obiettivo del disegno di legge: “Misure volte alla penalizzazione del fenomeno d’intermediazione illecita di manodopera basata sullo sfruttamento dell’attività lavorativa”. Partendo da questo presupposto gli organi preposti alla regolamentazione delle attività lavorative, si sono incontrati nella sede regionale del consiglio per discutere l’applicazione della legge regionale ventotto. Cercando di fare un po’ di chiarezza in merito è bene puntualizzare che secondo il provvedimento, firmato da esponenti di tutti gli schieramenti politici, sfruttare i lavoratori è un reato penale. Si rischia infatti il carcere. I “caporali”  cioè gli intermediari che nei campi e nei cantieri di tutta Italia  vendono e sfruttano in modo illecito, oggi come cinquant’anni fa, l’attività lavorativa di centinaia di migliaia di persone dovrebbero essere demotivati causa pesanti sanzioni. Abbiamo usato il condizionale volutamente. La conferenza tenutasi aveva l’obiettivo finale di mettere in chiaro i ritardi da parte del governo nell’applicare queste leggi e spiegare, dati alla mano, la situazione regionale e nazionale in merito. Tra i numerosi presenti  CGIL, FLAI, CISL e UIL è proprio l’assessore Michele Losappio  a denunciare la situazione. Il corteo che ha attraversato le strade di Bari lo scorso sei settembre è stato “aperto” proprio da un gruppo di lavoratori ( italiani e non ) in maniera simbolica. “Non basta la denuncia politica” – afferma Losappio – “La soluzione deve essere strutturale, minando la convenienza del lavoro a nero”. In questo caso gli accordi tra Vendola e la Guardia di Finanza non sono tutto ciò che è possibile fare per eliminare il problema. Ricordiamo infatti che la legge ventotto risale all’ottobre del 2006 e fino a questo momento, pur essendoci un numero incredibile di infrazioni, tutto è rimasto bloccato nei tempi burocratici consueti. “Non bastando le forze dell’ordine per regolamentare le aziende, la legge prevede con l’articolo 2 comma 3, che a seguito dei centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa  la Regione Puglia procede all’individuazione degli indici di congruità. Questi ultimi definiscono il rapporto tra la quantità e la qualità di lavoro e la quantità delle ore lavorate” , conclude Losappio. Il discorso è semplice: gli indici di congruità sono uno strumento necessario a definire gli standard da seguire per  regolamentare il lavoro, sia in campo agricolo sia nel campo dell’edilizia.  Congiuntamente all’attività delle forze dell’ordine devono garantire l’eliminazione della figura del “caporale”. Stando alle dichiarazioni la legge è stata “Completamente ignorata” dal governo, pur risultando in vigore. Ripercorrendo le tappe notiamo che era stata presentata una bozza dalla Giunta Regionale, recante proprio le modalità per individuare l’emersione del lavoro irregolare attraverso accordi con le parti sociali e le istituzioni responsabili. Proprio gli indici di congruità sopra citati. La volontà delle parti durante l’incontro è stata appunto portare all’attenzione del governatore Vendola quanto accade ormai da troppo tempo, con l’aggravante di avere una legge specifica e non poterla applicare per mancanza di mezzi adeguati. Se non bastasse quanto accade sotto gli occhi di tutti, i dati emersi durante lo svolgimento della conferenza dalle parole del sindacalista Giuseppe De Leonardis sono allarmanti: il cinquanta per cento in Puglia nel settore agricolo è da considerarsi lavoro a nero. Mancanza di stipendi, contributi versati e nel caso di lavoratori immigrati si parla di condizioni ai limiti della legalità. Il problema, come spesso accade, è nel mezzo: “Non esistendo un sistema di collocamento, chi ha bisogno di personale non può contare sulle graduatorie. Bisogna combattere e punire sia il caporalato sia chi lo favorisce”. L’impunità generale che aleggia attorno alle aziende è agevolata dalla mancanza di strumenti ed interventi di controllo. Citato doverosamente il caso di Nardò dove, lo scorso luglio, quaranta lavoratori migranti stavano raccogliendo pomodori per quattro euro a cassone ed un’ora circa di lavoro. Quando il “caporale” chiede loro di svolgere un’ulteriore mansione, esigono un adeguato aumento di compenso. Ovviamente non lo ottengono. A differenza delle altre, questa volta tutti e quaranta i lavoratori decidono di non prestarsi all’ennesimo sopruso e di propria spontanea iniziativa abbandonano il campo interrompendo la raccolta. “Un caso come tanti altri nelle nostre campagne”, conclude De Leonardis. In discussione anche i finanziamenti chiesti ( ed ottenuti ) dalle aziende: nessuno ha controllato la reale necessità di richiedere questi fondi e nessuno ha controllato se le aziende fossero in regola. Quante tra queste hanno avuto il blocco dei finanziamenti? Posta questa domanda in sede abbiamo ottenuto la risposta che temevamo: “I controlli ci sono, ma su larga scala e senza indici di congruità non si può avere certezza. L’indagine che abbiamo condotto tuttavia, grazie alla Regione, ci fornisce dati certi”. E onestamente non ci sono dubbi che lo siano.
 
Davide Antonacci
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Pubblicato il 9 Settembre 2011

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio