Cultura e Spettacoli

Emigrazione, male antico

In ‘Scritti sulla questione meridionale’ (Einaudi, 1955) Gaetano Salvemini, il celebre meridionalista nato a Molfetta nel 1873, rifletteva sul fenomeno migratorio. Ciò che sorprende di quelle limpide considerazioni è la loro intatta validità a distanza di un secolo. E tale validità resta sia che la si rapporti al caso dei tanti giovani plurilaureati italiani costretti a cercare all’estero sbocchi occupazionali negati in Patria, sia che la si rapporti al caso delle migliaia di extracomunitari che bussano da noi in cerca di rifugio. A determinare la fuga d’ambo le categorie sono le stesse cause che Salvemini aveva messo a fuoco a suo tempo. Da questo punto di vista passa poca differenza fra l’Italia e un paese meno ricco come ad esempio il Senegal, per cui non fa meraviglia se un nostro dottore in biochimica trova lavoro a Dakar o se un contadino di quella terra trova posto in un’industria del tri-Veneto. Ma sono tutte fughe dannose. Perché che a fuggire siano un cervello o due braccia, ciò non corregge nei rispettivi paesi  “i soffocanti sistemi tributari, non rende migliori le classi dirigenti, che invece immiserisce e di cui intensifica il pervertimento”. A tanto si aggiunge  “qualche fenomeno tutt’altro che benefico come il rallentarsi dei vincoli familiari”. Ma, alla lunga in questi casi, il danno maggiore finisce col patirlo il paese più povero. Se dal Senegal si fugge in Italia a causa della “mancanza di capitali, ignoranza e immoralità della classe dominante, analfabetismo della classe lavoratrice, concorso attivo e sistematico dei funzionari dello Stato alla corruzione della classe dominante e alla oppressione della classe dominata”, il vantaggio dell’accumulazione di capitali in patria prodotta dall’emigrazione viene vanificata dalla spesa per “opere pubbliche o non urgenti o addirittura inutili o pagate con prezzi elettorali” o che, se richieste dall’alta borghesia, vengono in fin dei conti finanziate con i risparmi dei poveri. Il che è ingiusto. Quale il segreto della longevità del pensiero di Salvemini? Il Nostro nutrì per lo studio della Storia una passione tale da meritarsi a soli ventotto anni la cattedra di Storia Moderna all’Università di Messina nel 1901. A differenza però di altri studiosi chiusi in una concezione del passato slegata dal presente, Salvemini andò controcorrente, avendo per regola il cercare conferma nel quotidiano delle costanti universali della Storia. E ad allargargli ulteriormente il pensiero, confermandolo nella necessità di una visione pragmatica delle cose, contribuì la sciagura che lo colpì nel 1908 : Quando Messina fu devastata dal catastrofico terremoto del 1901, egli perse la moglie, i cinque figli e la sorella, rimanendo l’unico sopravvissuto della sua famiglia. L’esperienza lo segnò profondamente sul lato umano, ma al contempo lo educò alla massima attenzione verso i reietti, fossero colpiti dalla forza della natura o dalla cattiva coscienza di prepotenti, ipocriti e bugiardi.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 8 Ottobre 2016

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