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Emiliano si difende dalle accuse della Cassazione

 

Il Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (Pd), non demorde e prova a difendersi, a suo modo, in merito alla vicenda che il 6 febbraio prossimo lo vedrà al centro di un procedimento giudiziario dinanzi alla Sezione disciplinare del Csm, ossia dell’Organo di autogoverno della magistratura, a seguito del fatto che a dicembre del 2014 il Procuratore generale della Cassazione, Gianfranco Ciani, nei suoi confronti ha chiesto ed ottenuto dal Csm l’apertura di un giudizio disciplinare, in quanto “magistrato” iscritto a un partito politico ed impegnato nella vita di detta formazione in “forma sistematica e continuativa”. Infatti, il governatore pugliese, pur sostenendo a conclusione di una sua dichiarazione di non temere il giudizio del Csm e di rimettersi fiducioso alla conclusioni di detto Organo, ha affermato di essere “l’unico magistrato nella Storia della Repubblica italiana eletto democraticamente dal popolo come Presidente della Regione, al quale la Procura generale della Cassazione contesta l’iscrizione ad un partito politico”, nonostante non svolge più le funzioni di magistrato da ben 13 anni, perché – come è noto – ha espletato, da sindaco di Bari prima, ed espleta ora, da presidente della Regione, un mandato di natura elettiva. In realtà, come già riferito in un precedente servizio, non è affatto la prima volta che la Procura generale della Cassazione contesta ad un esponente dell’Ordine giudiziario l’incompatibilità tra il ruolo di magistrato e quello di rappresentate partitico. Infatti, almeno un precedente clamoroso nell’ultimo decennio c’è stato nella storia della Repubblica ed è quello del magistrato partenopeo Luigi Bobbio che, nel 2007 benché anch’egli fuori ruolo, come è Emiliano dal 2004, assunse l’incarico di segretario politico del partito di Alleanza Nazionale della provincia di Napoli. Ed è pure noto come si evolse il “caso Bobbio” sia nel procedimento dinanzi alla Sezione disciplinare del Csm, sia per le valutazioni rilasciate dalla Corte Costituzionale all’eccezione di incostituzionalità sollevate da Bobbio circa la norma che proibisce ai magistrati di assumere cariche di partito. “In questi 13 anni – aggiunge Emiliano nella sua dichiarazione – ho sempre fatto politica all’interno di formazioni politiche assimilabili a partiti politici, prima liste civiche e poi nel Pd a partire dal 2007”. Ed a difesa della sua condotta comportamentale di magistrato precisa: “L’ho fatto sin dall’inizio richiedendo l’aspettativa anche se la legge non mi obbligava a farlo. L’aspettativa infatti serviva a far cessare l’esercizio delle funzioni ed a rispettare il divieto di iscrizione ai partiti per i magistrati”. In realtà, anche questa seconda considerazione difensiva – secondo qualche esperto in materia – è in parte contestabile, perché non risponde ai canoni giurisprudenziali che “l’aspettativa” per i magistrati è elemento di superamento del divieto di iscrizione a partiti politici e di partecipazione attiva agli stessi. Infatti, chiarisce e sottolinea l’esperto, con l’aspettativa il magistrato “si sospende dalle funzioni”, ma non dallo “status” di magistrato che rimane comunque attivo, anche se – come suole dirsi – “fuori ruolo”. Ma Emiliano prosegue nella sua difensiva affermando che “secondo la teoria accusatoria (ndr – vale a dire quella della Procura generale della Cassazione) dunque esisterebbero due tipi di politici in Italia”. Ovvero, “quelli che una volta eletti dal popolo hanno il diritto di costruire la politica nazionale dentro i partiti ai sensi dell’art. 49 della Costituzione, che recita: Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. “E quelli, – prosegue Emiliano – che possono sì essere eletti, ma devono rimanere da soli, senza la possibilità di fare politica in partiti o gruppi parlamentari di partito”, precisando che “Tra questi ultimi ci sono solo i magistrati. Che – commenta ancora il governatore pugliese in aspettativa da magistrato – dovrebbero dunque farsi eleggere senza candidarsi in liste di partito o iscriversi a gruppi parlamentari”. Ed Emiliano conclude la sua dichiarazione con un interrogativo, rivolto non si capisce bene a chi (al Legislatore, alla Procura generale della Cassazione o al Csm?), con il quale, in forma evidentemente retorica, si chiede: “Che differenza infatti vi sarebbe tra una tessera di partito e la candidatura in un partito o l’iscrizione ad un gruppo parlamentare?” Ed anche su quest’ultima considerazione c’è tra gli esperti della materia chi fa rilevare che l’appartenenza in maniera stabile e continuativa ad una formazione di partito è ben altra cosa sotto l’aspetto giurisprudenziale rispetto alla candidatura in una lista di partito o all’iscrizione ad un gruppo parlamentare, in caso di elezione. Infatti, spiega un esperto, la candidatura in una lista di partito la si può ottenere anche senza esserne iscritto. E, quindi, da “indipendente” ed in analogo modo l’adesione al gruppo parlamentare una volta eletto. “Certo non è usuale che ciò accada” – ha esclamato l’esperto. Infatti, ha proseguito lo stesso, candidasi da “indipendente” in una lista di partito, o iscriversi come tale ad un gruppo parlamentare, è  sicuramente un’eccezione. E conclude dicendo che “la partecipazione di un magistrato alla vita politica, nella ‘ratio legislativa’ vigente, rappresenta verosimilmente un’eccezione, perché regolata da un vincolo ben preciso”. E cioè, quello di non poter essere “attore partitico, ma con la toga indosso”. D’altronde, di magistrati che sono poi diventati “attori partitici” la Storia della Repubblica italiana ne è piena, sia prima di “Tangentopoli” (1992) che dopo. Basti ricordare l’uomo simbolo di quelle vicende, Antonio Di Pietro, ma anche altri più recenti casi di magistrati, come Luigi De Magistris ed Antonio Ingroia, che ad un certo momento hanno preferito diventare politici a tutti gli effetti e, per questo, hanno necessariamente e doverosamente abbandonato la loro professione di magistrato. Quindi, l’interrogativo che sarebbe forse opportuno porsi, ad integrazione di quello sollevato da Emiliano, è cioè  se “in Italia ci sono due tipi di magistrati: quelli che, rispettando la Costituzione e le leggi, passano in politica e quelli, invece, che pur essendo passati in politica cercano di raggirarle?”. Lo sapremo a breve, il 6 febbraio prossimo, se la Commissione disciplinare del Csm deciderà in tempi rapidi sul “caso Emiliano”. Diversamente bisognerà attendere ancora, perché evidentemente anche per i casi di “Giustizia” ai giudici i tempi non sempre sono celeri.  

 

 

Giuseppe Palella

 

 

 

 

 


Pubblicato il 25 Gennaio 2017

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