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Enigma Cassa Prestanza, ingannati i dipendenti ed occultata la verità

L'istituto di previdenza del Comune avrebbe dovuto cessare di esistere già da qualche decennio. Già dal 1968 una legge ne aveva vietato l'iscrizione ai dipendenti entrati in servizio dopo il primo gennaio del 1966

Uno dei “nodi” del Comune di Bari irrisolti dalla precedente amministrazione Decaro e tuttora pendenti è sicuramente quello della “Cassa prestanza” del personale comunale. Infatti, l’istituto di previdenza, sovvenzioni ed assistenza, fondato nel 1924 per i dipendenti del Comune capoluogo ed ora in liquidazione, nel 2015 – come si ricorderà – è finito sotto i riflettori della Corte dei Conti regionale, a seguito di una segnalazione effettuata dall’allora Gruppo consigliare comunale del M5S, con la conseguenza che, in base ai rilievi sollevati dai giudici contabili pugliesi, non è stato più possibile per il Comune continuare ad erogare il consueto contributo di circa 500mila Euro all’anno, ad integrazione delle contribuzioni mensili (il 3% dello stipendio lordo) che i dipendenti iscritti alla “Cassa prestanza” versavano per poi aver diritto, a fine carriera, ad una buonuscita aggiuntiva al Tfr (Trattamento di fine rapporto) spettante per legge. Un contributo, quello comunale, praticamente indispensabile per far fronte al pagamento della liquidazione aggiuntiva dei dipendenti iscritti alla “Cassa prestanza”, secondo il criterio di calcolo adottato su base retributiva, anziché contributiva e senza del quale, soprattutto, il bilancio annuale della “Cassa prestanza” comunale barese si sarebbe già da anni chiuso con ingenti perdite di esercizio. Lo “stop” della Corte dei Conti – come abbiamo già riferito in passato con altri precedenti nostri servizi – ha dapprima comportato ad un blocco parziale delle liquidazioni ai dipendenti che nel frattempo avevano maturato il diritto alla buonuscita integrativa e successivamente al blocco totale delle stesse. Insieme al blocco del pagamento delle buonuscite integrative, nel 2018 l’ex sindaco Decaro, in qualità (per “Statuto”) di presidente pro tempore della “Cassa prestanza” dispose anche il blocco delle contribuzioni mensili da parte dei dipendenti iscritti all’istituto di previdenza integrativa. La vicenda dal momento del blocco delle liquidazioni ha generato – come è ovvio – una pluralità di ricorsi giudiziali da parte dei dipendenti che avevano maturato il diritto al “bonus” previdenziale, con esiti inizialmente anche contrastanti, ma per la maggior parte di essi ancora in attesa di definizione in Appello o in Cassazione. Sta di fatto che nel frattempo l’ex Primo cittadino barese Decaro, a seguito della ripetuta inattività nell’approvazione dei bilanci annuali della “Cassa prestanza” da parte dei dipendenti iscritti, nel 2019 consegnò i registri in Tribunale, chiedendo la messa in liquidazione del glorioso istituto comunale di previdenza. In realtà, la messa in liquidazione della “Cassa prestanza” dei dipendenti del Comune di Bari – come ha rilevato un avvocato amministrativista barese, Giuseppe Mariani, (attraverso il quale abbiamo ottenuto copia sia della deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Puglia della Corte dei Conti, in risposta alla segnalazione scaturita nel 2015 dal Gruppo comunale del M5S, sia di alcune sentenze afferenti alcuni contenziosi insorti tra i dipendenti, il Comune e Cassa Prestanza – “sarebbe dovuta avvenire già da qualche decennio”, poiché gli istituti di previdenza, di sovvenzioni ed assistenza tra i dipendenti di enti pubblici, qual è per l’appunto la “Cassa prestanza” del Comune di Bari sono stati dichiarati fuori gioco da una legge del 1968, la n.152 del 8 marzo di detto anno, che fa esplicito divento alle amministrazioni degli enti locali di corrispondere trattamenti supplettivi di fine servizio ai dipendenti attraverso un proprio specifico istituto e, conseguentemente, di erogare somme a favore di questi ultimi. Infatti, la stessa legge aveva previsto che detti istituti avrebbero dovuto rimanere in vita, ma solo in via transitoria, limitatamente al personale giù in servizio alla data del 1°marzo 1966, per poi essere soppressi definitivamente. Invece, al Comune di Bari – come è noto – la “Cassa Prestanza” ha continuato a funzionare anche per i dipendenti assunti in servizio successivamente a tale data, lasciando tutto inalterato e, negli ultimi decenni, mantenendosi in vita grazie al cospicuo contributo straordinario erogato dalle diverse Amministrazioni succedutesi. Fatto, quest’ultimo, che – come ha affermato la Sezione pugliese di controllo della Corte dei Conti – presenterebbe un rilevante profilo di illegittimità e. di conseguenza, un ingente danno erariale, causato soprattutto negli ultimi decenni, al Comune di Bari. Allora, se effettivamente stanno così i fatti, la precedente amministrazione Decaro, onde evitare che ai dipendenti che è stata bloccata (parzialmente o totalmente) la buonuscita supplettiva ed a quelli ancora in servizio ed iscritti alla “Cassa Prestanza” si aggiungesse al danno anche la beffa, avrebbe forse dovuto sospendere immediatamente, già nel 2016 (ovvero al momento in cui è stato reso noto il pare della Corte dei Conti sulla illegittimità del contributo comunale annuale) le contribuzioni mensili dei dipendenti iscritti alla “Cassa Prestanza” e procedere alla messa in liquidazione della stessa in via diretta e, quindi, senza neppure l’intervento del Tribunale, poiché la “Cassa Prestanza” barese, alla luce di quanto rivelato dalla Corte dei Conti, benché dotata un patrimonio autonomo, sarebbe da ritenere a tutti gli effetti alla stregua di una municipalizzata. Così facendo, infatti, tutti gli iscritti a tale istituto di previdenza ed assistenza, apprendendo della irregolarità legale di esso, avevano la possibilità di chiede la restituzione delle somme versate nell’ultimo decennio, senza almeno incorrere nella prescrizione per detto periodo.  Diversamente, – ha rilevato, inoltre, l’avvocato Mariani – l’amministrazione Decaro avrebbe potuto invitare i dipendenti, “soci” della Cassa Prestanza, ha costituirne un nuovo istituto mutualistico di diritto privato e con regole di calcolo della buonuscita basate sul metodo contributivo, a cui poi devolvere il “patrimonio” al momento in dotazione alla vecchia “Cassa Prestanza”. Operazione, questa, che avrebbe dovuto essere effettuata già successivamente alla legge 152 del 1968, se i dipendenti comunali baresi, entrati in servizio successivamente al 1°marzo del 1966 avessero deciso di costituirsi una buonuscita supplettiva nel corso del loro periodo lavorativo. Quindi, il dilemma per i “beffati” della “Cassa Prestanza” del Comune di Bari è: “Cosa accadrà ora” anche alla luce dei fatti non rivelati per tempo dalla ex amministrazione Decaro?”. Infatti, il sospetto di molti chetale vicenda – come recita un vecchio detto partenopeo – si potrebbe concludere con “chi ha avuto, avuto e chi ha dato, ha dato!” E, quindi, dimenticarsi del passato, mettendo una pietra sopra a quasi tutte le aspettative riposte nella vecchia “Casa Prestanza” comunale barese.

 

Giuseppe Palella


Pubblicato il 17 Dicembre 2024

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