Cultura e Spettacoli

Enzo Del Re, una sedia per cantare la gente umile

Vincenzo Del Re, il cantastorie che si esibiva battendo le dita su una sedia inclinata, ci ha lasciato il 6 giugno di undici anni fa. Rosa Colella, impegnata da tempo nella divulgazione del canto tradizionale popolare e di protesta, è convinta, come donna e poetessa, che la poesia possa ancora avere un ruolo rivoluzionario per la società e con lei proviamo a ricordarlo.

‘Post mortem’ tutti dicono di aver conosciuto Enzo Del Re e che ne erano stati amici. Tu che l’hai conosciuto realmente, che ricordi hai?

<<Sì, ho avuto la fortuna di conoscerlo e frequentarlo, mentre tanti in vita l’hanno ignorato o addirittura denigrato in una terra restia alle novità e arida di idee dove il suo nome è stato obliato per decenni. Salvo scoprire possibilità di lustro e guadagno sfruttandone l’eredità artistica. Mi resi conto di questo appena dopo la morte e scrissi d’impeto “Venginze (Care’vaune)” una sua ipotetica riflessione post mortem, in dialetto molese, su chi millantava la sua conoscenza. Ho bellissimi ricordi legati alla persona; molti risalgono alla mia adolescenza, quando dal palco, dove cantava, mi arrivava l’eco del mondo. La ‘Sedia’ era lo strumento che utilizzava e su di essa batteva le mani a tenere il ritmo. L’aveva scelta per riscattare l’immagine terrificante della sedia elettrica, per sovrapporre a uno strumento di morte un oggetto povero, ma essenziale per la vita. Il suo stile e linguaggio sono inconfondibili: un dialogo ritmico attraverso il suo corpo, lo schiocco della lingua contro il palato e la percussione sulla sedia e in precedenza anche valige-cartoni-botti-fustini-sgabelli-chitarre. Enzo ha fatto del suo genio musicale uno strumento di protesta. Possiamo affermare che è stato l’interprete più autentico d’una stagione di impegno civile nella quale le canzoni di lotta e di protesta animavano il sogno d’una società diversa: ha partecipato da protagonista a quella fase degli anni ’70 in cui la musica popolare fungeva da strumento per raccontare un presente di contraddizioni e contrasti e lotte più o meno grandi, cantando la sua gente, segnata dalle conseguenze di ciò che portano vento, mare e oppressione. Lui, fruitore delle tradizioni popolari e dei diversi vocaboli dialettali arcaici, modi di dire, metafore, li ha trasmessi nei suoi versi, anche in dialetto, una scelta che risulta una volontà precisa di rendere il popolo protagonista della sua storia, trasmettendola con il codice linguistico che gli appartiene. Chi fosse lo diceva lui stesso: un Cantastorie che tramite la canzone porta la controinformazione. Insomma, un ‘Cantaprotestatore Corpofonista’, ””…io sono un banditore – precisava- I banditori appartengono alla famiglia dei cantastorie, ma se ne differenziano perché promuovono un’idea e la portano avanti. Io compongo ed eseguo canzoni di lotta, cioè ballate ispirate a persone che hanno creduto nella libertà e nella democrazia proletaria e che per questo sono morte…””.

 

Una curiosità dell’uomo o dell’artista che conservi, magari da raccontare…

<<Enzo era un grande ricercatore, frequentava parecchie biblioteche per approfondire i suoi studi filologici sul linguaggio. Un pomeriggio ero andata a trovarlo con un’amica che voleva conoscerlo, cominciammo a chiacchierare  e gli chiesi se stesse lavorando a nuovi progetti. Si alzò dalla poltrona e accese un registratore-riproduttore, ascoltai la sua voce che raccontava che tutti gli uomini sono uguali e decantava la bontà e le proprietà di alcuni cibi; rimasi estasiata. Mi raccontò di ricerche sui nomi e caratteristiche del cibo, che era un comune denominatore di tutti gli esseri viventi e che alcuni cibi, propri d’un territorio e quindi d’una determinata comunità, potessero essere funzionali ad occasioni di comunanza. Aggiunse che stava anche pensando a un particolare ‘pianoforte’, che avrebbe rivoluzionato l’approccio alla pratica musicale, ma che non avrebbe potuto realizzare, senza sostegno economico>>.

Ogni tanto ci ricordiamo di lui ma, da attivista del ‘Club della Canzone d’Autore’, non ritieni si possa fare di più? In altri Paesi l’avrebbero santificato…e non solo musicalmente

<<Certo, non ha avuto lo spazio meritato Enzo Del Re, nonostante qualche libro e documentario. In effetti sarebbe necessario uno studio del pensiero che rispecchi la sua voglia di cambiare, per una società giusta. Dovremmo tenerne viva la memoria, interpretando il messaggio come un seme, come lui stesso ebbe a dire a Guido Chiesa una volta :”…Noi stiamo seminando, saranno le future generazioni a raccogliere…”  in modo che possa aiutarci sia a “leggere” criticamente la realtà in cui viviamo, sia a costruirne una più equa e solidale. Enzo, cantava quello che è stato l’ultimo vagito di libertà in una civiltà industriale che sarebbe cambiata, mettendo la classe operaia nell’angolo, eliminando ogni vincolo solidaristico. Rimane “il singolo” a rincorrere un’emancipazione solitaria nel nome del mito dell’imprenditore di se stesso. Purtroppo le parole profetiche del cantautore di Mola non sono state quelle con cui sognava un mondo diverso, ma quelle del “Superuomo” canzone che sembra un affresco perfetto dei nostri giorni>>.

Francesco De Martino


Pubblicato il 7 Giugno 2022

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