Cultura e Spettacoli

Eolo, amico di Annibale

La guerra moderna esclude la battaglie campali, cui preferisce imboscate e scaramucce. Ancora nell’Ottocento, invece, vigendo un codice d’onore che stigmatizzava gli agguati nei quali voleva vedere un fare da predoni, si preferiva la platealità degli scontri frontali. Sicché da sempre è stato uso fra eserciti venuti in contatto rinviare lo scontro al momento in cui fosse stato individuato il terreno di scontro. Funzionava così : Appena le rispettive avanguardie segnalavano  la presenza del nemico, le due formazioni si attendavano. Al quel punto era compito dei condottieri effettuare un sopralluogo allo scopo di scegliere ‘in loco’ il luogo più adatto allo scontro. Non c’era bisogno che le due parti si accordassero ; il buon senso e l’esperienza creavano le basi di un tacito accordo. Una volta individuato lo spazio di scontro (che doveva essere il più pianeggiante possibile), ci si adoperava a sistemare il campo nella posizione più utile allo schieramento da adottare in battaglia ; cosa per la quale si doveva tenere conto di numerosi elementi, come la posizione del sole, la natura del terreno, la presenza di corsi o specchi d’acqua e le caratteristiche delle forze in campo (numero di uomini e cavalli, qualità delle armi). Sistemato l’accampamento e delineata la strategia, veniva il momento del rancio. Infine, tutti a dormire ; le battaglie avevano sempre inizio all’alba. Se veniva a piovere forte, se bisognava attendere che un terreno zuppo d’acqua asciugasse o se una delle parti non manifestava desiderio di combattere perché in attesa di rinforzi oppure per confondere l’avversario, lo scontro slittava al giorno dopo. A volte succedeva che le parti si fronteggiassero per giorni prima di decidere di affrontarsi. Nell’attesa, i due eserciti si addestravano. Se necessario si davano a spianare il terreno liberandolo di alberi isolati, macigni, siepi e quant’altro potesse ostacolare i movimenti della  cavalleria o l’avanzare della falange. Qualcosa del genere avvenne a Canne. Si dice che Annibale abbia fatto arare la famosa piana che nel 208 a.C. lo vide trionfare al fine di avere un terreno più friabile e perciò suscettibile di sollevare polvere. Una tesi piuttosto ardita vuole che il luciferino condottiero nord africano avesse calcolato il sollevarsi di un vento allora ‘locale’ (il Volturno) a favore del quale aveva disposto i suoi uomini. Secondo alcuni storici il successo dei Cartaginesi va attribuito non solo all’acume tattico di Annibale ma anche agli effetti devastanti di quel vento che, sollevando un polverone, accecò i Romani, ne frenò la velocità delle frecce e dei proiettili delle frombole (fionde), esaltando invece la potenza delle armi da getto dei Cartaginesi.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 27 Giugno 2013

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