Cultura e Spettacoli

Epistula ad nostros viginti quinque lectores

Cari Lettori,

stavamo, quasi, desistendo dall’OffrirVI il nostro settimanale Elzeviro, che il paziente Direttore del “Quotidiano di Bari”, Luciano Ventura, CI Pubblica, immancabilmente, il martedì, per non essere NOI stati Costretti a Scrivere da un fatto, da un episodio, da un evento con un forte impatto sulla nostra Sensibilità, quando abbiamo avuto la felice (Speriamo, pure, per VOI) Idea di Dedicare a VOI le nostre ”sorrise parolette brevi” (Dante, Par. 1, 95). “Tamen”, con una doverosa Precisazione da parte Nostra: Parleremo a braccio, com’è uso fare tra Amici di antica data (infatti, sono 9 anni, ormai, che Dialoghiamo tra VOI, non senza “Labor”, armati di costante Regolarità), facendo Procedere il Discorso, anche, per Associazione d’Idee, un po’ come Si Fa nell’Analisi Freudiana. Ovviamente, non possiamo assicurarVI o rassicurarVI sul tono, sull’ approvazione corale del nostro Dire ché per la Scrittura nostra abbiamo, ognora, Fatto Tesoro di Matteo (18.7): ”Necesse est enim ut veniant scandala”. Cioè, guai a ingrassare i  propri Lettori con parole, argomenti consolatori. Si  deve essere Scandalosi, Trasgressivi, A – normali, Scatenando, per reazione, Riflessioni su ciò che viene ritenuto, gregalmente, ovvio; per Far Emergere  Problemi rimossi nella generale inconsapevolezza o inabissati  nella superficiale indifferenza dei più. Venerdì, 19 settembre, 2014, nello scorrere il territorio campano, dall’autostrada “A 14” attraversato, per RecarCI a roma, con irrevocabile, indicibile amarezza Confessavamo ad un nostro Amico, che guidava, di odiare i campani e, quindi, di aver rotto qualsiasi amichevole rapporto con colleghi napoletani, a bergamo conosciuti, ché Ritenevo responsabili, anch’essi, con la loro accidia, il loro pilatismo di aver permesso, come i loro maggiori, agli “animalia” di cattiva volontà,  di distruggere con l’edilizia, orrendamente, abusiva e  seppellendo nella loro terra rifiuti pericolosi per la pubblica salute, provenienti da tutta l’europa, una regione che dio (si fa per dire) o la Natura avevano Composto, a mo’ di Paradiso, per gli Uomini di buona Volontà. Per associazione di idee, Aggiungevo che napoli è una città in rovina: quella che in passato era stata una capitale di stampo europeo, dal punto di vista Culturale, è, ora, in un declino senza controllo e dal punto di vista urbanistico in irreversibile disfacimento, con il disvalore aggiunto di essere inquinata nei rapporti sociali, nello sviluppo economico da una organizzazione criminale tra le più, crudelmente, infami che esistano al mondo: la camorra. Monumenti e palazzi di valore storico – artistico che crollano o dai quali si strappano cornicioni, tanto da uccidere, com’è avvenuto nella “galleria umbertina”, un innocente quindicenne. Per non parlare, poi, della “reggia di caserta” dove, a parte i ricorrenti incendi nei piani alti che ospitano svampite reclute dell’aeronautica militare, si sono registrati, ultimamente, crolli in varie sezioni del tetto. Ancora, per associazione di idee, Partecipavamo all’Amico, pilota della nostra utilitaria, che per realizzare il progetto faraonico (in termini di volume la “reggia di caserta” è la più grande residenza reale del mondo; copre una superficie di 47000 metri quadrati; è stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità)  del Vanvitelli, commissionato dal re, carlo di borbone, a parte una immensa quantità di ducati, angariando, fiscalmente, il popolo napoletano, specie, la piccola borghesia dei mestieri o la media delle professioni, si dovettero trasferire con la forza (e come altrimenti ?) ben 3000 schiavi dall’Africa che lavorarono con il corrispettivo di qualche ciotola di legumi, tanto per tenerli in vita, prima di stroncarli per la fatica, quali buoi alla macina delle olive. Ancora, per associazione d’idee, fu consequenziale la sofferta Meditazione che la Storia ha consegnato agli uomini la facoltà di nutrire sentimenti di meraviglia e di sgomento, di paura che incutono  i manufatti di esemplare bellezza e grandezza: “sed” gli uomini di ieri  avrebbero dovuto Liberarsi e noi dovremmo Liberarci, criticamente, della sudditanza estetica in cui le opere, testé menzionate, ci involvono e giungere alla conclusione che esse, sia laiche, diciamo, che religiose (si ponga mente, ad esempio, al “palazzo di cnosso” in creta, alle “piramidi” in egitto, alla “basilica di s. pietro” in roma), rispondono all’ideologia del “potere” che tutto può ciò che vuole e può, facendo affidamento sulla fatica, sul lavoro, sul sangue imposto a milioni di oppressi, di schiavi, di servi della gleba e distraendo risorse economiche che avrebbero potuto risolvere il problema impellente di essi del “pranzo e della cena”. Ancora, per associazione di idee, CI Chiedevamo:” Come si fa ad appellare il “colosseo”, simbolo della città di roma, una squallida costruzione i cui massi colossali sono stati messi l’uno sull’altro, trasportati in alto, gallegiando sul sudore delle mani, delle braccia, delle gambe, rosse di sangue, di coloro a cui fu imposto l’obbligo di concorrere alla edificazione del luogo ove la crudeltà del potere e la stronzaggine delle plebi si espresse, massivamente ? Ove il visitatore avvertito non può fare a meno di riandare con l’immaginazione alla moltitudine di condannati “ad bestias” che vi persero la vita tra immani sofferenze ? Giunti a questo punto, non possiamo EsimerCI dal Licenziare un’Affermazione la cui Scaturigine è nel nostro Costume di non nascondere al Prossimo il nostro Pensiero in uno scrigno serrato a doppia mandata; che, Sappiamo bene, Susciterà Scandalo, Sconcerto nei nostri Lettori. Se  fosse nella nostra potestà, NOI raderemmo al suolo tutto ciò che, per essere sbattuto nei millenni e nei secoli alla vista meravigliata e intimorita dell’ingenuo passante, è costato fatica e lacrime a milioni di inermi, di indifesi,  assecondando la vanità prepotente di una minoranza di ladroni, di criminali, di chierici simoniaci, non importa la fede, ipocritamente, professata, “usando Dio come scudo”, ha detto bergoglio a tirana, facendo finta di dimenticare che molti suoi predecessori  (cotanta digressione per associazione di idee) invocarono da regnanti eserciti ché assecondassero le mene temporali della curia vaticana, identificandole con le mene del loro dio; che giulio II si mise a capo di eserciti; che le stragi dei crociati furono perpetrate in nome della croce e per liberare il cosiddetto santo o sacro sepolcro; che dietro la croce, beceri avanzavano i colonialisti spagnoli, portoghesi per razziare, quanto più potessero, le terre e i beni degli indigeni dell’america latina. Al posto delle regge, dei circhi, degli archi, delle colonne di trionfo, delle cattedrali nel deserto di ogni Moto di Giustizia, di Compassione per i Diseredati, NOI Ripristineremmo boschi o pianteremmo alberi da elevare al cielo che, più delle chiese faraoniche in cui la divinità si mercifica, è il tempio più bello, da dio creato ché si potesse, si possa pregarlo e onorarlo con innocente, infantile spontaneità. I millenni e i secoli hanno conservato le vestigia scellerate, sia pure mascherate dallo scalpello, dal pennello mercenari di insigni artisti,  delle magioni, dei luoghi di culto, dei luoghi di oppressione, di torture, di morte, fatti edificare dai despoti e dalle classi egemoni stanziali in ogni parte del pianeta; non è stata, invece, conservata la rete urbanistica che documentasse come vivessero i comuni “cives” nelle varie città o i cittadini delle  “suburre” di esse. Eppure, ciò che il potere ha cercato, inutilmente, di cancellare, la Natura, con l’eruzione del Vesuvio, del monte Vesevo per il grande Giacomo, ha sottratto all’oblio e dagli scavi di pompei ed ercolano, dalla Lettura dei ruderi delle modeste case, salvati dalla inenarrabile apocalisse del vulcano, che si staglia, tuttora, minaccioso sul golfo di napoli,  e degli scheletri umani incapsulati nei lapilli di lava, possiamo Intuire dove, come vivevano le plebi dell’antichità nella quotidianità della loro modesta esistenza o coloro che da quella esistenza, per colpi di fortuna, o per  spirito, magari, di non lecita iniziativa erano riusciti a elevarsi da quella esistenza, esibendo ai meno fortunati i segni della loro conquistata agiatezza o della loro recente ricchezza. Ancora, per associazione di idee, non possiamo non gettare lo sguardo in cagnesco sulla progettualità di molte amministrazioni comunali mirante a far rivivere i cosiddetti “centri storici” delle città da esse, malamente, gestite, governate, amministrate. A tal proposito, Ci viene in ausilio Fiammetta Fanizza nel suo Saggio ”La città indifferente”, incluso nel Volume “La spettacolarizzazione dell’umano e le sue forme” (Progedit Editrice). Infatti, la Ricercatrice non è, assolutamente, tenera nei confronti di quelle amministrazioni comunali, di bari in particolare, che hanno usato il “Programma Urban” per stravolgere il “borgo antico”, con interventi, pure, di recupero del patrimonio artistico e architettonico di esso, ma favorendo intraprese commerciali: bar, pizzerie, ristoranti, disco – pub, soprattutto, che ”hanno trasformato Bari vecchia in un ‘divertimentificio’ senza tuttavia incidere più di tanto sulle abitudini di vita dei cittadini baresi, né in senso positivo, né in senso negativo”. Inoltre, la pletora dei progetti foraggiati con il “programma Urban” sono stati realizzati a spese “della popolazione autoctona” del “borgo antico” di  bari con il risultato di costringere la “popolazione storica di esso” a trasferirsi o a farsi deportare in altri quartieri. Sicché   il “borgo antico” di bari è stato organizzato, tenendo conto solo delle esigenze di una classe di nuovi acquisti della borghesia locale ”desiderosa di ottenere una nuova visibilità sociale tramite una diversa condizione abitativa”. Cari nostri 25 Lettori, un vecchio adagio latino proclama: ”Tempora mutantur, et nos mutamur in illis”. Noi, cambiando, ci adegueremo, perfino, ai cambiamenti climatici, alla sparizione delle stagioni. Cambiano e cambieranno di nome i prepotenti, i faccendieri che assurgono, assurgeranno ai vertici del potere sulle varie zolle del pianeta Terra, ma le forme della spettacolarizzazione della prepotenza e della sua visibilità sono, saranno, sempre, quelle dei millenni e dei secoli trascorsi, stipate, quindi, nella Storia dalla quale, giammai, come in passato, ci Ingegneremo a Trarre i catartici Insegnamenti.

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano

pietroaretino38@alice.it         

 


Pubblicato il 23 Settembre 2014

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