Cultura e Spettacoli

Ettore, l’amor fatale per Ginevra

Qualche giorno fa, martedì 20 gennaio, nel generale disinteresse, ricorreva il cinquecentesimo anniversario della morte di Ettore Fieramosca. Il grande condottiero di ventura moriva a Vallodolid, allora sede della corte del Re di Spagna. Come si trovasse lì non è dato sapere essendoci una totale mancanza di notizie che va dal giorno in cui egli raggiunse Ancona per mettersi al servizio del viceré  di Napoli, Raimondo de Cardona al giorno del suo trapasso in terra di Spagna. Collocando il suo arrivo ad Ancona nell’estate del 1512, dopo aver stimato della durata di  alcuni mesi il periodo di convalescenza che al cavaliere capuano fu necessario per riprendersi dalle gravi ferite riportate nella battaglia di Ravenna dell’11 aprile dello stesso anno, resta un buco di due anni e mezzo. Che successe in quei circa novecento giorni? Fieramosca era uno che per natali e trascorsi faceva notizia. Se la Storia tace è da pensare che egli giungesse ad Ancona ancora malconcio. Ciò potrebbe avergli precluso l’ingresso al servizio di Raimondo de Cardona. Il suo stato di salute si era aggravato? Se sì, possiamo immaginare un calvario lunghissimo di salassi, impiastri e purganti. Finalmente anche questa seconda penitenza finisce. Ristabilito, Fieramosca si rimette in gioco. Un ‘ingaggio’ gli viene dalla corte spagnola. Si mette in viaggio. Ma le fatiche del viaggio gli riacutizzano ferite mai del tutto guarite. Fa in tempo ad arrivare a Valladolid per morirvi. Un ‘finale di partita’ davvero grigio per un uomo che aveva fatto dell’azione e della fierezza la propria religione. Opportunamente, diciamo così, Massimo d’Azeglio gli cambia il destino in ‘Ettore Fieramosca, o la disfida di Barletta’, un romanzo di grandissimo successo edito nel 1833. Nella finzione di D’Azeglio, Ettore, benché segretamente adorato dalla figlia del capitano spagnolo e da una schiava saracena, ama perdutamente Ginevra la quale è però costretta a sposare Grajano d’Asti. Quando a Disfida conclusa quest’ultimo muore, Fieramosca corre al convento dove Ginevra si è rinchiusa. Quando arriva, apprende che l’amata è morta. Disperato, si spinge al galoppo verso un dirupo… Delle spoglie mortali di Ettore Fieramosca non si hanno notizie. Può essere interessante sapere che tra le armi esposte nel Museo Nazionale di Capodimonte  a Napoli c’è una spada che sulla lama reca inciso : Ettore Fieramosca di Capua. A giudizio degli esperti, quell’arma non appartenne mai al grande cavaliere, per quanto la sua fabbricazione risalirebbe ai primi del Cinquecento. L’incisione sarebbe recente, forse successiva alla pubblicazione del romanzo di D’Azeglio. A parte il fatto che nel XVI secolo si sarebbe detto ‘da’, piuttosto che ‘di’ Capua.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 28 Gennaio 2015

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