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Fabrizio Fioretti: “Ho giocato nel Bari più forte di sempre nell’89/90”

 

Raramente può capitare che ci si emozioni durante un’intervista, questa volta è successo perché durante una lunga chiacchierata con il doppio ex di Bari ed Avellino, Fabrizio Fioretti che da professionista ha realizzato 412 presenze e ben cinquanta gol, si sono toccati tantissimi temi su campioni scomparsi, al Bari stellare di Joao Paulo, Perrone, Di Gennaro, capitan Loseto & soci, sino ai tanti campioni con i quali ha giocato nella sua carriera. Da calciatore ha vestito le maglie della Lodigiani, Barletta, Bari, Pecara, Piacenza, Verona, Avellino, Gualdo, Pistoiese, Lucchese ed Arezzo dove ha concluso la carriera nel 2002.

Che tipo di centrocampista sei stato e se c’è stata anche un’evoluzione nel corso della tua carriera, costellata da tanti gol insieme a tante stelle del calcio.

“Ho giocato sempre più o meno nella stessa posizione nella mia carriera. Non so se questo sarebbe stato possibile nel calcio moderno. Cresciuto nella Lodigiani, di lì ho iniziato il mio percorso da professionista. Ho esordito nel 1985 e concluso la mia carriera nel 2002; ho visto due generazioni, ma vi spiego. Io ero uno molto tecnico ed in un calcio con grandi stelle e più di qualità mi sono trovato a mio agio. Poi da metà anni Novanta il calcio è cambiato, diventato più fisico e tattico ma senza snaturare il mio ruolo, anche se da inizio carriera ho giocato da mediano. A me piaceva la tecnica ed ho fatto diversi gol su rigore ed alcuni molto belli su punizione. Ma quello mancato e vi svelo perché è forse stato il più gratificante: correva il 14 aprile del 1990, il Bari già era sotto di tre gol col Napoli di Diego Armando Maradona, il più grande ed io, subentrato da poco, andai a battere la punizione, presi l’incrocio ed il compianto portiere Giuliano Giuliani volò all’incrocio per pararla, ma Diego mi si avvicinò e disse: ‘Accidenti è l’unica paratona che ha fatto quest’anno, continua cosi, bravo ragazzo’. Quell’emozione e parole me le porto ancora con me, omaggio così il grande Diego”.

Prima di passare al Bari, sei stato al Barletta giocando con Pino Giusto e Beccalossi ed altri campioni. Il tuo ricordo.

“Venivo dalla Lodigiana, società che ha valorizzato tanti giovani promesse, ed a me e molti compagni ci permise di approdare nel calcio che contava. Decisero di mandarmi al Barletta, io insieme a Giuseppe Ferrazzoli, Marco Savorani andammo con molto scetticismo salvo ricrederci. Lì ho potuto conoscere un grande Giuseppe Giusto per tutti ‘Pino’. Era piccolo, ma aveva visione di gioco, piedi buoni ed era un cucitore di gioco, mi aiutò moltissimo. E poi ho giocato anche con Evaristo Beccalossi, pur se era a fine carriera e fece dieci presenze meno di me, realizzò sei gol mentre io cinque, e quando giocava aveva la palla attaccata al piede. Ricordo ancora una gara con il Messina: lui fece un gol con il suo piede preferito su calcio di rigore e poi con l’altro di destro, mi guardò e disse ‘Ora faccio gol con l’altro piede’ e mise la palla nel sette. Magistrale”.

Ed eccoci al Bari nel 1989/1990, hai vinto la Mitropa Cup e disputato un gol memorabile alla Fiorentina del Divin Codino in ‘A’. Raccontaci.

Bari mi è rimasta nel cuore, pur avendo fatto solo otto presenze. Probabilmente è un mio giudizio opinabile ma credo che il Bari in cui ho giocato a fine anni Novanta, con mister Salvemini è stato quello più forte di sempre in un campionato dove c’era il Napoli di Maradona, il Milan degli olandesi, la Samp di Boskov e tante altre squadre di spessore. Noi in squadra avevamo gente come Pietro Maiellaro, Joao Paolo, Gerson, due grandi come Carletto Perrone, Antonio Di Gennaro ed io ero la sua prima alternativa, un portierone come Sandro Mannini, Scarafoni, Angelo Terracenere, Angelo Carboni, Massimo Carrera, Monelli, Giovanni Loseto e dil resto della rosa. L’unico rimpianto di quella stagione dove forse avremmo meritato un piazzamento europeo è aver perso il derby al ritorno con il Lecce. Ma chiunque faticava con noi. Io feci gol a Firenze contro la viola di Roberto Baggio, quest’ultimo insieme a Paolo Rossi, uno dei più grandi fuoriclasse italiani di sempre. Il mio gol? Avvenne all’Artemio Franchi di Firenze su punizione battendo un grande Marco Landucci”.

A fine di quella stagione fu inaugurato il San Nicola prima dell’inizio dei Mondiali. Mentre proprio ai Mondiali ci andò un vostro compagno, l’argentino Nestor Lorenzo che fu convocato e disputò anche la finale mondiale. Il tuo pensiero.

“Su Nestor Lorenzo, fu una sorpresa anche per noi.. (ride, ndr). Diciamo che in quelo tempo il campionato italiano a livello mediatico era quello più importante, ed aveva grandi attenzioni. Il Ct argentino, Carlos Bilardo, forse avrebbe voluto convocare i nostri italiani, Giovanni Loseto, Ceramicola e Carrera, con quest’ultimo che fu convocato nella nazionale italiana nel 92’ ma soltanto per un’amichevole, ma evidentemente gli consigliarono, scherzo ovviamente, male e chiamò Nestor Lorenzo. Fummo felici per il nostro compagno di squadra, ma a mio avviso avrebbe meritato anche un grande Giovanni Loseto, una chiamata in Nazionale e maggiori attenzioni. Quel Mondiale vide anche l’inaugurazione del San Nicola, esattamente il 3 giugno 1990, disputammo amichevole contro il Milan di Sacchi e vincemmo anche con gol di Monelli e Scarafoni”.

Nella tua carriera sei stato allenato in quel di Pescara anche da un grande Carletto Mazzone, per qualche tempo anche in orbita della Nazionale di Calcio italiana, poi scartato per il suo carattere focoso. Svelaci qualche chicca.

“Non so di quello che è stato scritto però posso affermare con orgoglio che mister Carletto Mazzone è stato uno dei tecnici più preparati che ho avuto, lui non aveva bisogno del moderno ‘match analyst’ perché curava tutto da solo e preparava le partite in modo maniacale. Solo che a Pescara in quella stagione dove avremmo dovuto vincere il campionato o fare una stagione al vertice, non trovò quella chimica di squadra che gli ha consentito altrove di fare benissimo. Per lui la partita era come andare in guerra e questo concetto lo voleva trasferire ai giocatori. Vi svelo un episodio di quell’annata: c’era un giocatore, un nome importante che avevamo in squadra ma che non lo vedeva, ed i giornalisti ogni volta in conferenza gli chiedevano perché non lo utilizzasse; un lunedì alla ripresa degli allenamenti, lo prese davanti a tutta la squadra e gli disse: ‘Se i tuoi amici della stampa non la smettono di rompermi le p… , faccio vedere a tutti quanto sei pippa e ti faccio giocare titolare’, questo per dirvi com’era. Non aveva peli sulla lingua. Quando mi diede fiducia e schierò titolare, poi venne esonerato. A Pescara però mi sono trovato molto bene anche con mister Galeone”.

Domenica il Bari affronta l’Avellino. Per chi farai il tifo, dato che con gli irpini hai vissuto due stagioni intense e giocato anche con un altro ex Bari, Fabio Lupo.

Ad Avellino ho vissuto gioie immense e l’amarezza dell’unica retrocessione della mia carriera. In Campania con l’Avellino vanto il ricordo più di affetto sentito per aver avuto quello che reputo il mio miglior presidente per passione e carisma, Antonio Sibilia, tornato alla carica della presidenza, conquistammo la promozione in B, vincendo ai rigori lo spareggio con il Gualdo, mentre in campionato arrivammo secondi dietro una grande Reggina. Solo per darvi un assaggio di quanto ci teneva il presidente a vincere il campionato di C, vi svelo che tre giocatori chiesero la cessione a novembre. L’anno seguente retrocedemmo anche se avremmo meritato ben altra sorte. Ricordo con grande amicizia ed affetto Fabio Lupo, che oggi è diventato direttore sportivo, con lui legai e posso affermare che è stato un grande professionista. Domenica il mio cuore sarà diviso a metà, però auguro alla piazza barese di tornare nei palcoscenici che merita con una società e dirigenza solida che ha trovato”.

Infine, un’ultima battuta sull’allenatore del Benevento ed ex campione del Mondo, Filippo Inzaghi con il quale sei stato compagno di squadra.

“Pippo Inzaghi è stato mio compagno di squadra già a Piacenza, lui era aggregato alla Prima Squadra. Il Piacenza lo cedette in prestito al Leffe (allora non si chiamava ancora Albinoleffe, ndr) ed in C1 segnò tredici reti. Successivamente, nel 1993, io passai al Verona, ed il Piacenza invece lo girò in prestito ai gialloblu allenati da Bortolo Mutti. La piazza di Verona lo ribattezzò ‘Superpippo’ ed a soli venti anni fece tredici reti in quel campionato 93/94 dove il Bari arrivò secondo dietro alla Fiorentina di Batistuta, in una delle B più difficili di sempre. Tecnicamente non è stato il giocatore più forte con cui ho giocato ma per carattere, voglia di vincere e determinazione Pippo Inzaghi è stato il numero uno. Basta chiedere ai difensori più forti di sempre, Thuram e Cannavaro, ti risponderanno che l’attaccante più ostico e difficile da marcare è stato Pippo Inzaghi ed io sono stato onorato di averci giocato e fornito qualche assist”.

Marco Iusco

 


Pubblicato il 17 Dicembre 2020

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