Cultura e Spettacoli

Falconeria, capriccio da sangue blu

Fra le rovine della città di Khorsabad, in Mesopotamia, è stato trovato un bassorilievo raffigurante un falconiere. Risale al regno del Re Assiro Sargon, vissuto intorno al 750 avanti Cristo. La falconeria ha origini remote, soprattutto nobili. A concedersi questo svago non potevano essere che persone facoltose. In sé, la falconeria non è modo di cacciare produttivo : il rapace addestrato ha costi altissimi, per natura preda non più di un paio di volte al giorno, può non fare ritorno a chi lo abbia ‘lanciato’… La pratica venatoria con l’uso dei rapaci richiede ancora oggi tempo, passione e competenze elevate. Chi anticamente voleva lucrare con i volatili preferiva la pratica – oggi vietata – dell’uccellagione, ovvero il ricorso a dispositivi di cattura fissi, come reti e trappole a scatto, con o senza l’impiego di esche. La falconeria ha annoverato tra i suoi appassionati tre grandi teste coronate : Carlo Magno, Enrico I di Germania e Federico II. La vita del Puer Apuliae era pressoché frenetica : campagne militari, incontri politici, udienze, cenacoli, banchetti, esercizio delle buone lettere… Appena libero, Federico faceva sellare il suo cavallo e via, a caccia. Dove trovò il tempo per affrontare e con tanta dovizia di particolari i numerosi argomenti contenuti nel suo ‘De arte venandi cum avibus’? E’ certo che attinse, tra i tanti, da due trattati : il ‘De arte bersandi’ di Guicennas e il ‘De scientia venandi per aves’ di Teodoro di Antiochia. Il primo trattato, che verte sulla caccia con armi da lancio, arco e balestra, reca la firma di un cavaliere tedesco che, in qualità di falconiere e ‘maestro di caccia’, fu al servizio di Federico. Il ‘De scientia venandi per aves’ è la versione latina – redatta da Teodoro di Antiochia, personaggio della corte di Federico, dietro incarico dello stesso Imperatore – di un trattato arabo sulla falconeria, il Kitāb al-mutawakkilī, opera di un certo Moamin (o Moamyn). In conclusione, Federico non potette andare oltre il raccogliere qua e là cose che in un secondo momento  integrò con conoscenze personali coordinandole in un insieme sistematico. ‘De arte venandi cum avibus’, è lavoro enciclopedico dalle dimensioni imponenti. Se ne conservano due volumi nella  Biblioteca Vaticana. L’edizione, redatta da Enzo, figlio naturale dell’Imperatore, durante la sua prigionia a Bologna e conservata nella Biblioteca Universitaria di quella città si compone di sei libri (il Libro I classifica gli uccelli, parla di migrazioni e caratteristiche morfologiche ; il Libro II descrive come si catturano e si preparano i falchi all’addestramento ; il Libro III contiene la descrizione dell’addestramento dei falchi e dei cani da caccia ; il Libro IV è dedicato alle modalità della caccia alla gru con il girfalco ; nel Libro V si parla dell’addestramento del falco sacro alla caccia all’airone ; il Libro VI tratta della caccia con il falco pellegrino agli uccelli acquatici).  E non è detto che questa edizione sia quella completa. – Nell’immagine, scena di idillio e falconeria di ambiente normanno- svevo : Bianca Lancia e Federico II ; Codex Manesse (copia 1304).

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 22 Luglio 2021

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