Fessacchiotta e stereotipica: la non-lingua pugliese
Quando si ambienta un film la cosa più difficile è l’impiego della lingua locale. La soluzione migliore resta la sottotitolazione, verso cui però lo spettatore italiano manifesta insofferenza. I nostri produttori allora preferiscono che si cadenzi la parola quel tanto che basta a conferire il più riconoscibile colore regionale. L’operazione dà così vita a improprie parlate lombarde, sarde, campane, calabresi… Tale improprietà si fa più forte nel caso della Puglia. L’estensione in lunghezza della nostra terra e l’intensità delle vicissitudini storiche da cui è stata attraversata hanno portato a differenze linguistiche talmente profonde che ‘lingua pugliese’ è espressione assolutamente priva di significato. Ma il mondo dello spettacolo ha bisogno di stereotipi. Serve allora un comico che assurga a ‘prototipo regionale’ agli occhi di tutta la nazione, anche a costo di assurdi linguistici. E’ il caso di Lino Banfi che negli anni sessanta inventò la ‘macchietta’ del pugliese fessacchiotto che si esprime in un italiano platealmente venato di canosino (o giù di lì). Macchietta che per ragioni di botteghino è rimasta appiccicata addosso a Banfi per buona parte dell’attività cinematografica, soprattutto nel genere della commedia sexy all’italiana. Proprio una di queste storielle a sfondo erotico, ‘La moglie in bianco… l’amante al pepe’ (direzione di Michele Massimo Tarantini – 1980) è stata girata ed ambientata in Puglia. E’ la storia di Peppino Patanè, un improbabile dentista tranese (Banfi), il quale, oberato dai debiti, non ha altra via d’uscita che diventare nonno, stante una ‘velenosa’ clausola inserita nel testamento del padre. Velenosa perché Gianluca, unico figlio di Peppino, è gay… Ma poi ecco arrivare Sonia, la nuova conturbante assistente di poltrona dello studio Patané. Sonia, che è una forza della natura, riesce nel miracolo di far diventare padre Gianluca. Finalmente Peppino Patanè può salvarsi dai creditori… Classico film di genere, il lavoro di Tarantini viene ricordato per aver segnato il debutto cinematografico di Pamela Prati (Sonia), futura soubrette televisiva. Il film fu girato a Trani e, in parte, a Taranto, senza che entrambe le città vengano citate, sicché lo sfondo è quello di una Puglia’ acquosa e neutra, habitat ideale per la macchietta di Banfi, e un’altra serie di luoghi comuni a proposito del Mezzogiorno d’Italia. Interessanti le location tranesi, che regalano scorci di antiche magioni nobiliari come Palazzo Bianchi e Palazzo Brouquier. A proposito di quest’ultimo, nessun accenno alla Dama Bianca, lo spettro che lo infesterebbe: una donna in abito da sposa intenta a sfogliare un vecchio libro…
Italo Interesse
Pubblicato il 14 Gennaio 2021