Cultura e Spettacoli

Flusso piroclastico, la catastrofe

Il Vesuvio è il vulcano che tutti più temono. La preoccupazione degli scienziati si fonda sul fatto che il condotto di collegamento tra la bocca del vulcano e la camera magmatica – che si trova a circa 8 km di profondità –  è ostruito da un enorme ‘tappo’ di lava rappresa. Il condotto è ostruito dai giorni dell’ultima eruzione, quella del 1944. Ciò non consente il rilascio dei gas che si sprigionano dalla camera magmatica col risultato di un progressivo aumento di pressione. Quando questa dovesse toccare il livello critico, potrebbe frantumare il ‘tappo’ in modo esplosivo, cioè in termini da far impallidire i lutti lontani di Pompei, Stabia ed Ercolano. Studi attendibili stimano prossimo il ritorno in attività. Intuibile allora la dimensione della tragedia, tenuto conto dell’altissimo tasso d’antropizzazione del territorio del Monte Somma. Il Vesuvio non è l’unico vulcano minaccioso tra quelli inattivi. Ma è il documentato ricordo di cosa successe a Pompei e dintorni a mettere questo vulcano  al centro del pensiero degli studiosi. Per esempio, anche allo scopo di mettere a punto modelli di soccorso, la Scienza è curiosa di sapere quanto durò la corrente piroclastica del 79 dopo Cristo. La corrente o colata  piroclastica è un flusso di materiale magmatico e gas ad alte temperature che scende dai fianchi di un vulcano ad alta velocità. Si presenta sotto forma di nube che scorre lungo i fianchi del vulcano sotto l’azione della forza di gravità con velocità di discesa variabile tra i 50 e i 70 chilometri l’ora, con uno spostamento che può avvenire anche su lunghe distanze. Ebbene, uno studio condotto dall’Università degli Studi di Bari-Dipartimento Scienze della Terra e Geoambientali, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) e il British Geological Survey di Edimburgo ha potuto stabilire che a Pompei la corrente piroclastica durò tra i dieci e i quindici minuti. Dovesse quella funesta colata ripetersi, tocchiamo ferro, addio Napoli. Le ceneri arriverebbero anche da noi, insieme ad una massa di disperati in fuga. L’unico fattibile piano di protezione civile, non essendo possibile sdradicare dalle pendici del Vesuvio quasi un milione di abitanti colpevolmente autorizzati ad abitare case che mai avrebbero dovuto essere edificate, considererebbe solo strutture d’accoglienza distribuite nel raggio di un duecentocinquanta chilometri, in sostanza in tutto il Mezzogiorno. La Puglia, come altre regioni limitrofe alla Campania non si senta esclusa dalla possibile tragedia partenopea. – Nell’immagine, colata piroclastica del vulcano filippino Mayon nel 1984.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 26 Marzo 2021

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