Cultura e Spettacoli

“Forme Composte”, il cromatismo essenziale ed eterno del Maestro Rino Valido

“Ogni nuovo mattino uscirò per le strade cercando i colori.” Diceva Cesare Pavese. Una filosofia che, per certi versi, ha permeato anche il percorso artistico e il viaggio esistenziale del Maestro ligure Rino Valido, che con la sua personale “Forme composte” ha esposto le sue opere dal 14 maggio al 4 giugno presso la BAART Gallery, nel centro di Bari. Un nuovo evento espositivo di prestigio promosso dalla galleria fondata e diretta con grande attenzione verso il panorama artistico contemporaneo da Angelo Zaccaria.

Nelle opere di Rino Valido vi è una costante ricerca cromatica che affascina lo spettatore per l’abilità di una sintesi essenziale e di un accostamento intimo e delicato che colpisce al cuore ed emoziona in maniera diretta e spontanea. Nelle sue composizioni il colore si fa materia, sostanza, attrazione di forme plasticamente compatibili. L’attenzione ad esso va considerata come l’elemento cardine di un racconto esistenziale fatto di grande abilità tecnica e intrecci di vissuto personale ed emozionale. Importante nella sua produzione anche l’utilizzo del tessuto. Ritagli di stoffa o frammenti di altri materiali sono stati raccolti con cura duranti numerosi viaggi intorno al mondo e contribuiscono, con un suggestivo intersecarsi di equilibri, a conferire un proprio personalissimo senso alle opere.

Come nasce la sua arte?

“Ho iniziato a lavorare in un laboratorio fotolitografico genovese, dove ho appreso la tecnica della cromolitografia per la stampa offset. Ho poi sviluppato in questo settore la pratica di cromista, relativa alla scomposizione della densità del grigio per il raggiungimento di un’intensità di colore. Aspetto che poi ha fortemente influenzato le scelte della mia produzione. Nel ‘74 ho aperto a Genova un mio studio di pittura e grafica, e nel’78 ho compiuto il primo di una serie di viaggi che mi hanno portato a conoscere il Sud della Francia. Un paesaggio in particolare mi ha affascinato: la Camargue. La scoperta di quest’area pianeggiante attraversata dal delta del Rodano, con le sue pozze di acqua salmastra, i canneti, le saline, le terre riarse, ha innescato in me un lento ma graduale processo di cambiamento, che mi ha portato poi nel tempo ad abbandonare l’impianto figurativo delle mie prime opere, a favore di una sintesi estrema del dato reale e del paesaggio sotto forma di campiture di colore che si fanno struttura.”

Quali sono le caratteristiche della sua personale poetica?

“Come hanno sottolineato diversi critici, sono gradualmente passato dal figurativo all’astrazione, una mia particolare visione in cui la realtà si trasforma in emozione, in riflesso interiore e dove il colore si veste di tonalità e di sfumature intimistiche. Si tratta nella fattispecie di un colore che incontrandone un altro, costruisce sulla tela la forma. Il gesto non ostacola i limiti tracciati da una linea ma tende a favorirne la sfumata delicatezza, nel suo divenire lo spazio attraversa seducenti contaminazioni. Tale trasformazione ha preso l’avvio dalla folgorazione paesaggistica suscitata dalla “scoperta” della Camargue e dalle variabili tonalità di quella fantastica natura che attraverso la lente del mio vissuto ho trasformato in pennellate. Sono rimasto poi decisamente colpito dai colori di tessuti che vengono realizzati in alcune parti del mondo, colori unici che non è possibile riprodurre dipingendo, quindi ho pensato, in una fase successiva, di utilizzare inserti e frammenti ti stoffe raccolti nel corso dei miei viaggi, facendone delle opere. Si partiva da un supporto base semplice tipo tela o tavola, e successivamente venivano applicati questi tessuti per poi intervenire pittoricamente. Onestamente non credo di aver creato qualcosa di nuovo, ci sono stati altri grandi artisti che hanno creato filoni simili al mio, per esempio Malevič, per citarne uno, ma credo di aver comunque creato attraverso il mio stile e il mio contributo un’arte che piace per la sua personalità. Cosa che penso oggi ogni artista debba fare, poiché tutto è stato già inventato.”

Attualmente a cosa sta lavorando?

“Mi sto occupando, tra le altre cose, di un progetto ancora in fase di realizzazione: sarà una mostra itinerante su tutto il lavoro che ho svolto per l’industria di Stato, partendo dal Museo del ‘900 Di Milano, progetto su cui siamo un po indietro per colpa del covid. Un altro che dovrebbe riguardare il Museo della Carta di Brescia, e anche una mostra al Museo Diocesano di Albenga che si alternerà su due siti: Albenga e una località dell’entroterra ligure, dove c’è un bellissimo monastero del ‘400. Dovremmo organizzare una mostra che va dal barocco alle mie forme composte.”

Qual è lo stato dell’arte contemporanea oggi secondo il suo pensiero?

 “Non nascondo di avere alcune perplessità riguardo al fatto che la legge di mercato sembra spesso pilotare alcune scelte a discapito della qualità. È una domanda che rivolsi a suo tempo a molti grandi artisti contemporanei che ho conosciuto, e non è sempre semplice fornire una risposta. Oggi l’arte si esplica nel pensiero, esiste nel gesto. Bisogna vedere però se dietro questo vi è una verità, quali presupposti e fondamenti vi sono. C’era per esempio il grande Arp che prendeva dei fogli di carta, li spezzettava e lanciandoli nell’aria, li lasciava cadere. Il modo in cui cadevano e il loro percorso per lui era arte. Ma diciamo che gli si concedeva questo perché era stato un grande uomo di cultura. Aveva una base solida alle spalle. Un certo percorso di tutto rispetto, ma io diffido di molte figure che si improvvisano artisticamente. Oggi spesso si porta avanti soltanto ciò che è redditizio, senza guardare alla qualità e al background di quello che si propone. Questo è il grosso limite. Ricordo per esempio la Expo Bari degli anni ’70. Periodo in cui mi occupavo ancora di certe forme di figurativo. Arrivavo con tantissime tele e me ne tornavo sempre a casa che avevo venduto tutto.”

Rossella Cea


Pubblicato il 8 Giugno 2022

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