Frida, l’amore e la guerra
Frida Khalo, quale donna ‘esagerata’. Il suo modo d’essere – e dunque d’amare – fu certamente rabbioso. La Khalo non ebbe mai un rapporto distaccato con la vita. Temperamento e vicissitudini la portarono a ‘consumare’ l’esistenza con un’intensità destinata alla lunga a rivelarsi dannosa. E Frida non poteva non essere consapevole della pericolosità di questo smodato ‘bere/mangiare’ l’esistenza. Le ultime parole vergate sul diario dicono : “spero di non tornare più”. Fu allora il suo una sorta di suicidio?… Ilaria Di Bari parla invece di assassinio. Si esprime in questi termini in un suo testo (‘Assassinata dalla Vita. Frida e il suo rabbioso Amore’), che qualche giorno fa Eva Immediato ha messo in scena al Di Cagno a conclusione della rassegna Pensieri In Ozio. Una messinscena molto scarna. A parte una sedia, un tavolino da toletta e una stele della dea azteca dell’amore, il più vistoso elemento scenografico resta la riproduzione di un autoritratto della Khalo. Alla Immediato non resta che la parola della stessa Khalo (su cui interviene la Di Bari raccordando stralci di corrispondenza, interviste e diari) per raccontare un complesso universo emotivo. Con buona presenza scenica, la brava interprete, esplora quell’universo muovendosi col giusto temperamento all’interno di una drammaturgia ondivaga, ricca di accelerazioni che conducono a vette seguite da brevi stasi le quali a loro volta preludono a lente ripartenze e così via. Ne viene il ritratto deciso di una donna folgorante e tenace, il cui urlo di rabbia e di dolore bastava periodicamente a scacciare “quella cagna spelacchiata della morte”. Soffermandosi sulla donna, l’opera neanche sfiora il tema artistico, sicché rimane in piedi l’irrisolto interrogativo : fu Frida Khalo una surrealista? Lei lo negò sempre. “Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni”, così rispose una volta ad un giornalista, aggiungendo di avere un’idea di surrealismo piuttosto personale e “giocosa” (“per me surrealismo è la sorpresa di trovare un leone nell’armadio dove eri sicuro di trovare le camicie”). Ma il primo Manifesto Surrealista definisce il movimento come un “automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere… il reale funzionamento del pensiero… in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione e al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale”. Ora, a parte ‘Ciò che l’acqua mi ha dato’, il lavoro della Khalo che più esplicita il credo surrealista (immagini di paura, sensualità, memoria e dolore che galleggiano nell’acqua di una vasca da bagno da cui affiorano le gambe dell’artista), esistono degli autoritratti della pittrice messicana dove il tema del corpo martoriato, sempre coniugato con l’altera bellezza dell’autrice, esprime un che di ossessivo e di inquietante, che sfugge al controllo della ragione, si scrolla di dosso ogni imperativo estetico o morale. Se ne può conclude che per una parte limitata della sua produzione la Khalo fu inconsapevolmente surrealista? (lo spettacolo si replica sabato 16 aprile ancora al Teatro Di Cagno)
Italo Interesse
Pubblicato il 15 Marzo 2016