Cultura e Spettacoli

Frou: lustrini e buon senso

In un clima di riscoperta dell’operetta viene da domandarsi se qualche autore originale non si sia già dilettato in un’operazione di gusto retrò componendo un qualche falso d’autore su modello Lehàr, Offenbach o Strauss. Nel frattempo Maria Grazia Pani è andata anche oltre ingegnandosi a disegnare un’operetta ‘ideale’ attraverso l’estrapolazione e l’assemblaggio di schegge tratte dal meglio di quel vasto repertorio. Il suo ‘Mi chiamano Frou Frou’, ultima produzione di TeatrOpera, è stato in cartellone al Nuovo Abeliano nell’ultimo fine settimana. Consensi incondizionati per questo incastro d’arie che, non conoscendo forzature, ha del miracoloso, ma che sorprende relativamente conoscendo la straordinaria capacità di sintesi del soprano/regista barese ; capacità che è frutto di una visione del mondo del bel canto che fugge lo stereotipo e disdegna il (malcelato) settarismo che tanto quel mondo intossica. A quest’ultimo proposito è singolare l’altra dote che la Pani mette in luce in ‘Mi chiamano Frou Frou’. Dote che in palcoscenico è merce rara, e indifferentemente che di mezzo siano l’opera o l’operetta : il senso della ‘democrazia’. Qui non esistono prime, seconde e terze voci, protagonisti e comprimari, comparse e figuranti. Qui tutti hanno il medesimo spazio, le medesime opportunità (sia allora ciascuno bravo a mettere a frutto le risorse, ‘ché sarà poi il pubblico – e non altri – a stabilire graduatorie di merito). Quella di Frou Frou, interpretata da una pimpante Giusy Frallonardo, è la storia di una povera cocotte di stanza al Chez Maxim’s – insieme ad altre scintillanti ‘colleghe’ – che si improvvisa arrampicatrice sociale. Non avendone la stoffa, però, alla fine deve consolarsi col sicuro affetto di un garzone di bottega invece di convolare a nozze con un facoltoso ma inaffidabile personaggio pubblico. Tutto il contrario della già fortunata Hanna Glawari (la protagonista di ‘La vedova allegra’, qui interpretata dalla solita volitiva Maria Grazia Pani), che sposando il fascinoso Conte Danilo realizza anche il sogno d’amore. Arie celebri eseguite al pianoforte da Raffaella Migailo e tratte da ‘La vedova allegra’, ‘Cin Ci la’, il Paese dei campanelli’, ‘Il pipistrello’ e altre opere, chiamano la stessa Pani, Giovanni Guarino, Paola Leoci e Desirèe Pappagallo a raccogliere applausi. Platea gremita e soddisfatta. Al successo ha contribuito il buon lavoro di Giuseppe Bellini che cura scene e costumi. Nell’insieme, una frizzante ventata di Belle Epoque che fra sorrisi e spensieratezza dispensa anche una piccola, salutare lezione di stile. Non se ne può più di questi giorni triviali.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 19 Aprile 2016

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