Cultura e Spettacoli

Gaetano Avena, la poesia come tensione verso l’assoluto

Ricordo del poeta bitontino e collaboratore del Quotidiano a due anni dalla sua scomparsa

Il lascito culturale di Gaetano “Tanino” Avena, poeta bitontino scomparso il 26 ottobre di due anni orsono, è tutto nell’originalità della sua poesia che forse meriterebbe una risonanza critica ben più ampia di quella strettamente locale.

Ma qui non si vuol commemorare Avena, poiché, in fondo, il poeta continua a vivere nel silenzio e nell’intimità di chi lo ha fatto suo. Il solo modo per celebrare Avena è leggerlo, e lasciarsi trasportare da versi geniali e costruzioni insolite e a loro modo stravaganti nati dall’incontro dello spirito del tempo con la sensibilità dell’artista. È il senso impresso da Avena alle sue liriche, ed è la concezione sua della poesia che non ha date ufficiali, né riti collettivi: il poeta non è un professionista, non si forma ad alcuna scuola, non s’iscrive ad alcun albo. Poeti si è, e Gaetano Avena lo è stato, con uno stile di non-poeta, se non di contro-poeta. Uno stile unico, da cui traluce la persona, e attraverso il quale si scorge, spiritualmente, l’eccentricità dell’artista. Nell’arte poetica di Avena, non credente, c’è lo stesso fuoco mistico del credente Bloy: nei suoi versi spesso affiora un’emotiva ricerca di altezze e di profondità, dimensioni dello spirito raggiungibili solo con lo “stacco” da ciò che è superficialmente terreno. La poesia per Avena è il medium, per lo più esclusivo, nella ricerca dell’Assoluto: il verso s’intrica volentieri per fuggire l’ovvio e affidare all’individuo il compito di districarsi tra le banalità dell’oggi; le immagini dell’anima, groviglio di una sensibilità vastissima, paiono una fiammeggiante tavolozza dei fauves; e poi, un po’ dappertutto, echi agostiniani, percorsi dell’anima in formulazioni stilistiche idiosincratiche, aloni di Mistero e strade punteggiate di segnacoli di luce che annunciano la redenzione. La verità, tensione continua e disincanto ad un tempo, è nella realtà esterna solo nella misura in cui si sappia cogliere, poeticamente, l’essenza della bellezza del Creato.

Eppure, è proprio nell’umanità distratta, massa damnationis, che si rinviene, in Avena, la denuncia di un certo qual egoismo del progresso, capace di dare solo l’illusione piccolo-borghese della felicità.

È questa, volendo insistere sul tasto della “religiosità” della sua poesia, la rappresentazione della condizione del peccato e dell’assenza di Dio dal mondo, ma è anche, di riflesso, l’implicita ammissione dell’afflato divino.

Nella sua ultima raccolta “Nel dedalo”, del 2021, Avena cerca un cantuccio difensivo, un rifugio dal clamore della modernità, che Gaetano trova, infine, nella ferinità della natura quale incontaminato primordio dell’esistenza (in part. nella poesia “La nudità”). In “Peregrinò”, nella stessa raccolta, vi è un’ansia d’evasione dall’esistenza materiale, da ciò che è o appare “relativo”. È, qui come in molti altri componimenti, la ricerca di silenzio interiore che Avena ritrova solo in certi suoni della terra e in certe tinte del cielo, tra realtà e surrealtà. Ma è un silenzio che richiede solitudine, come nell’io solitario di “Si sporgono”, o in liriche di tensione verso l’alto (“Vedo che ami cogliere la felicità… Vedo che ami ispirarTi, Beato…”, in “Fuori di sé”, raccolta “La Breccia”). La solitudine, dunque, vero recinto della poesia di Avena entro cui poter esprimere, nell’intensità di un verso, la sua laica preghiera.

 

Felice de Sario

 


Pubblicato il 30 Ottobre 2024

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