Garibaldini pugliesi, la “razzapaglia” sul fronte di guerra
Alla vigilia della terza guerra d’indipendenza, combattuta tra il 20 giugno 1866 e il 12 agosto dello stesso anno, cinque reggimenti di garibaldini partirono dalla Puglia. Il viaggio, in treno, si rivelò non meno letale del fronte che attendeva quegli uomini. Nel percorso da Bari a Brescia, il 6° reggimento perse “quarantuno individui, chi balzato, chi trascinato, chi schiacciato”, scrive L. Beha in ‘Memorie di un garibaldino”. Ma a bordo di cosa viaggiavano quei poveracci? Forse sul pianale di carri scoperti, esposti a tutte le intemperie. Quarantuno giovani vittime del sovraffollamento, quarantuno soldati che muoiono travolti dalle ruote o, peggio, ‘macinati’ dall’attrito contro la massicciata per essersi gli indumenti impigliati da qualche parte nella caduta. E il treno che non si ferma, perché la guerra vale più della vita di poche decine di ‘unità’ destinate ad ‘alimentare’ cannoni insaziabili. Ai soldati dell’8° reggimento andò meglio, nel senso che arrivarono vivi ma con le gambe gonfie “per essere stati oltre trentasei ore in piedi, stivati come sardine entro le carrozze-bovari”. E una volta a destinazione? Di male in peggio. Nessun addestramento, equipaggiamento sommario e armamento ridicolo (antiquati, pesantissimi fucili a canna liscia ad avancarica). I garibaldini pugliesi erano considerati “razzapaglia”, cioè la schiuma di tutte le forze armate impegnate sul fronte di guerra. Così Paolo Valera in ‘Giuseppe Garibaldi in Tirolo. Episodi della guerra garibaldina” (‘La Folla’, Milano, 1915) : “Mancavano di tutto. Non hanno avuto esercizi. Erano malamente vestiti. Sono stati armati di tutti i fucili rifiutati dagli eserciti europei, comperati dagli speculatori che sono andati alla ricchezza. Fu una baraonda. Non c’erano che pochi che avessero qualche abitudine al fucile. Non c’erano fra loro uomini di caserma. La disciplina non si sapeva cosa fosse. Era tutta gente che non era mai stata al fuoco. Coloro che vi erano stati erano dei Mille o avevano abbandonato l’esercito… In marcia per le valli e per le montagne, i garibaldini sentivano il peso dei vecchi fucili che non si potevano caricare che con un lavoro di dieci minuti e che non esplodevano che a rischio della vita del possessore. Sovente la munizione era così umida che rimaneva nella canna”. Non di meno questi avventati (erano tutti volontari) figli della nostra terra seppero opporre valida resistenza ai fanti austroungarici armati di Stutzen (carabine di precisione a canna rigata relativamente corta). Soprattutto a Bezzecca si distinsero. E quella vittoria, l’unica di quella breve guerra (durò sette settimane), scrive Marco I. De Santis in ‘Un amico di Garibaldi, Eliodoro Spech’ (Molfetta 2011), andò “a riscattare parzialmente le cocenti ma non irreparabili sconfitte di Custoza e Lizza”.
Italo Interesse
Pubblicato il 7 Dicembre 2013