Cultura e Spettacoli

Generazione Rampi

Alfredino Rampi aveva sei anni quando a giugno di trentatré anni fa precipitò in un posso artesiano scavato nelle campagne di Vermicino, una frazione di Frascati. Morì a sessanta metri di profondità due giorni dopo, anche per la goffaggine della macchina dei soccorsi. Quella tragedia segnò simbolicamente la fine della prima Repubblica. Da allora l’Italia continua a scivolare nello stesso fango che inghiottì Alfredino. Sarà possibile recuperare la salma di questo non-Paese (il nostro) e tributargli onoranze funebri come avvenne con Alfredino un meseo dopo la sua morte? L’imbarazzante interrogativo striscia per  tutta la durata di “13-6-81”, uno spettacolo prodotto da Scenica Frammenti, interpretato da Dimitri Galli Rohl e Carlo De Toni, scritto e diretto da Loris Seghizzi, che martedì scorso ha inaugurato ‘Itineraria Festival-Arti sceniche in transito’, una rassegna di teatro indipendente in corso a Modugno e organizzata da Qualità Mutevole Fest, una ‘piattaforma’ cui prendono parte quattro compagnie italiane. – Lo spettacolo si è tenuto nella Sala Le Volte di Palazzo Colavecchio, storica struttura privata che già in altre circostanze è stata generosamente messa a disposizione dell’arte dall’omonima e prestigiosa famiglia modugnese. – Per alleggerire il racconto del peso di quella doppia tragedia, Seghizzi si fa venire un’idea ardita, guardare le cose dalla prospettiva di un bambino sereno. Una prospettiva color pastello, venata di poesia e di tenero senso dell’avventura che avrebbe toccato anche Rodari : Alfredo è un asso del ‘nascondino’. E’ lui quello che acquattato resiste più di tutti prima di balzare dal nascondiglio per correre a battere la mano sulla ‘tana’ del muro e, ‘salvando’ tutti, condannare chi già ci stava a tornare ‘sotto’. La sera del 10 giugno 1981, la sera del suo “capolavoro”, lo spaventoso budello si trasforma nella madre di tutti i nascondigli.  Alfredino se la ride dei suoi involontari compagni di gioco (i ‘grandi’). ma nell’attesa di portare a termine il suo capolavoro qualcosa lo tormenta. Ha freddo, ha fame, ha sete e gli scappa. Qualcosa gli dice che stavolta il gioco ha assunto contorni diversi… Poi tutto sfuma nell’incoscienza. E’ un Alfredo allucinato che parla o piuttosto un bambino che, percepita la tragedia, con fulminea intelligenza la volge in gioco per sopravvivere sino all’arrivo dei ‘grandi’? E invece alla fine potrà dire che “gli adulti non sono mai arrivati”. In fondo, ha vinto lui. A che prezzo però. Il bravo Galli Rohl si impossessa del bellissimo testo di Seghizzi ne diventa il corpo, la voce di un Alfredino che non t’aspetti, fresco e vitale, ‘odoroso’ di figurine Panini e cartoni animati. Gli fa eco De Toni che alla chitarra elettrica arricchita da campionature improvvisa spaziando tra colori caldi e atmosfere cupe, anche lancinanti. “Abbiamo provato a salvarlo Alfredino, salvando anche un po’ noi che facciamo parte di quella generazione”, dicono autore e interpreti i quali, mese più mese meno, hanno oggi la stessa età che avrebbe avuto quel povero bambino. Lungo, meritato e commosso l’applauso a conclusione di una messinscena scarna, tutta all’insegna dell’essenziale, ovvero in senso opposto all’inopportuno fasto mediatico che il dramma di Vermicino ebbe con l’unico risultato di mettere a nudo le piaghe di un’Italia stracciona e marcia, tuttavia ipocrita a sufficienza per gonfiare petto dodici mesi più tardi in occasione della vittoria al Mondiale di Spagna.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 11 Aprile 2014

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