Cultura e Spettacoli

Gerardo, brigante vero

Fra gli Insorti che nel Mezzogiorno all’indomani dell’Unità insorsero contro le forze del neonato Regno d’Italia si infiltrarono non pochi evasi e pregiudicati, quando costoro non arrivarono a ‘mettersi in proprio’, protetti agli occhi della gente dall’alibi della lotta al Piemontese per il ritorno del Borbone sul trono duo-siciliano. Scopo di questi delinquenti – ben degni d’essere etichettati come ‘briganti’ e che con colpevole leggerezza vennero accolti nelle formazioni guerrigliere filo borboniche – era trarre profitto dal caos che la rivolta aveva generato. Se la rivoluzione fosse riuscita, tutti quelli che vi avevano preso parte sarebbero stati ricompensati, anche con amnistie generali. Una volta sollevati da ogni pendenza con la Giustizia, questi ex-briganti avrebbero potuto inserirsi nel tessuto civile a testa alta, per di più arricchiti dei tanti ricatti e rapine perpetrati in quei giorni funesti. Uno di questi infelici rispondeva al nome di Gerardo De Felice, detto Ingiongiolo. Nato a Oppido Lucano il 9 gennaio 1828, De Felice – riferisce Francesco Giannnone in un suo studio – era “guardiano di vigne a tempo perso, ma nel fatto un ladro di professione”. A differenza di altri, Ingiongiolo si diede al ‘brigantaggio politico’ molto tardi, nel momento in cui il fenomeno andava scemando sotto i colpi della potente repressione innescata dalla famigerata Legge Pica. La ‘carriera’ di De Felice ebbe inizio infatti verso la fine del 1863, quando il brigante oppidano si unì alla banda di Crocco. Tra le sue vittime si conserva memoria di tale Antonio Furone, titolare di una ‘privativa’ di sali e tabacchi, sciabolato in contrada Serra Cimino (Genzano di Lucania) il 15 agosto 1864 per essersi rifiutato di fornire a Ingiongiolo e compagni cibi e sigari come gli era stato intimato. In precedenza, il 29 giugno, il brigante si era ‘distinto’ nella scaramuccia di contrada Macchione (Acerenza) a seguito della quale due Carabinieri avevano perso la vita. Eccitato dal gran ‘colpo’, De Felice e un compagno spogliarono le povere salme e ne vestirono le divise. Così camuffati, i due tristi avvicinarono un gruppo di donne impegnate in lavori campestri. Poi ad un segnale di Ingiongiolo, altri malviventi accorsero dalle macchie dove erano nascosti a dare manforte agli altri due  nell’usare violenza a danno delle infelici. Dopo la cattura di Crocco e Ninco Nanco, raccolti attorno a sé gli sbandati di quelle formazioni, De Felice divenne il pericolo pubblico numero uno della Basilicata. Per stanarlo i suoi nemici arrivarono, durante le ricerche, a sequestrare e portare con sé a dorso di mulo Michele, il figlioletto di cinque anni del brigante. Ma neanche con questa esca si riuscì a far cadere in trappola Ingiongiolo. Vi riuscirono invece, ingolositi dalla taglia che pendeva sul suo capo, alcuni ‘giumentari’ di Spinazzola in combutta col vaccaro Michele Caprio di Genzano. Caduto in trappola, Gerarrdo De Felice, morì, probabilmente da solo, nei pressi di una “pagliaia” posta all’interno del bosco La Piana nel territorio di Vaglio, nel potentino. Era il 21 ottobre 1866. – Nell’immagine, la cattura del viaggiatore inglese W.J.C. Moens avvenuta nel territorio di Battipaglianel1865. Liberato dopo il pagamento di 30000 ducati (corrispondenti a 5100 lire), Moens raccontò la sua avventura in ‘English travellers and Italian brigands’, un libro pubblicato a Londra lo stesso anno  da Hurst and Blackeet Publisher.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 9 Gennaio 2021

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