Cultura e Spettacoli

Gian Galeazzo e Bona, forse il veleno

Il 20 giugno 1469, ad Abbiategrasso, nel milanese, nasceva Gian Galeazzo Maria Sforza, un uomo che nel corso della sua vita, durata appena venticinque anni, non mise mai piede in Puglia. Eppure, riuscì a lasciare il segno nella storia della nostra città. Dalla moglie, quell’Isabella d’Aragona poi destinata a diventare la celebre Duchessa di Bari, ebbe tre figli : Ippolita, Francesco e infine Bona. Quest’ultima, dopo essere salita al rango di regina di Polonia, alla morte del marito Sigismondo I tornò a Bari a riprendere le redini del ducato lasciato dalla madre. A differenza del padre, Bona morì in età avanzata, a sessantatre anni,  un’età ragguardevole considerando la media del tempo. Morì però in circostanze misteriose. Le stesse che – sinistro destino di famiglia – avvolsero a suo tempo la prematura scomparsa di Gian Galeazzo. Sembra, e il sospetto è forte, che entrambi siano stati avvelenati. Diciamo ‘sembra, perché le loro non furono morti istantanee. Se non si può parlare di decessi spontanei, è il caso di considerare l’idea di una intossicazione pianificata e graduale, un’intossicazione che, lenta inizialmente, poco a poco prende velocità, scandita da intervalli via via più stretti di benessere e ricadute. E’ evidente che i congiurati, al fine di sviare facili sospetti, avessero tutto l’interesse a che il veleno non fosse ad effetto rapido. In questo modo sarebbe stato facile addebitare la morte ad  uno dei tanti banali malanni per effetto dei quali anticamente, stante la modestia delle conoscenze mediche, si andava all’altro mondo anche nel vigore dell’età. Alla luce di queste considerazioni, quale il veleno più adatto? Frugando fra i veleni in uso in epoca rinascimentale tre risultano le sostanze più letali : cicuta, aconite e belladonna. Tutte però mal si prestano ad un consumo frazionato. Allora non resta che l’acqua ‘tofana’, cioè la soluzione di arsenico in acqua (il nome di questa soluzione viene da quello di Giulia Tofana, un’avvelenatrice seriale del XVII secolo). L’acqua tofana svolge un’azione abbastanza lenta e presenta il vantaggio di essere inodore e insapore ; come tale si presta ad essere ingerita senza sospetti come acqua di cottura di cibi o come decotto. In questo caso l’avvelenatore deve avere avuto dalla sua il medico di corte, la cui funzione quando si ordiva un complotto era quella di convincere la vittima che, pure quando si scoppia di salute, è bene tutelare la salute concedendo riposo agli organi interni. Per cui, niente carne e niente vino, meglio invece un buon brodino, una bella tisana… – Nell’immagine, Gian Galeazzo Sforza ritratto nelle vesti di San Sebastiano da Giovanni Ambrogio de Predis (pittura ad olio eseguita nel 1483.

Italo Interesse


Pubblicato il 20 Giugno 2017

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