Cultura e Spettacoli

Gioacchino Toma, la dignità degli umili

 

“Avevo circa sei anni quando morì mio padre: di lui quindi ricordo appena la figura e non serbo se non qualche rara memoria. Di ritorno da’ viaggi ch’egli spesso facea per Napoli, solea sempre portarmi ora un giocattolo ed ora un altro, e l’ultima volta – ricordo ancora – mi portò un bellissimo altarino con l’intero parato di stagno. Quel giorno, fu gran festa religiosa per me. Accesi tutte le candele del mio altare, come nelle maggiori solennità della Chiesa, e celebrai senz’altro la messa.” Comincia così ‘Ricordi di un orfano’, autobiografia di Gioacchino Toma, talentoso pittore pugliese (era nato a Galatina nel 1836). Un libro scritto, come disse Benedetto Croce, “con semplicità e vigore, senza enfasi e senza abbellimenti di sorta”. Scritta con forza concisa, l’autobiografia di Toma sembra ispirarsi al modello del romanzo di formazione. E’ è la storia della travagliata infanzia e adolescenza di un orfano pressoché abbandonato, del successivo confino di 18 mesi inflitto dalla polizia borbonica, dell’arruolamento nei garibaldini, di una scansata fucilazione, della militanza nella Guardia Nazionale e infine dell’esperienza artistica nel panorama pittorico della seconda metà dell’Ottocento a Napoli. ‘Ricordi di un orfano’ è opera che consente di comprendere in quale misura le tragiche vicende dei primi anni conferirono un colore malinconico a parte della sua produzione artistica, tanto che alcuni critici, semplicisticamente, lo definirono ‘il pittore del grigio’. Non avevano capito. Gioacchino Toma non riproduceva sulla tela il grigio dell’esistenza bensì un personale modo di intendere il quadro della storia, sia antica che contemporanea, attraverso una rappresentazione dei sentimenti e delle situazioni psicologiche, invece che attraverso le ricostruzioni filologiche. Prevaleva nella sua pittura una dimensione domestica e quotidiana che conferiva agli eventi un carattere universale, e senza mai scadere nel bozzettivismo, nel pittoresco o nel sentimentalismo esteriore. Prendiamo in considerazione una tela come ‘Le corallaie’ (nell’immagine). Dove il ‘grigio’ di cui parlano i soliti sapientoni? Certo, la vita di operaie premute come limoni e pagate a cottimo non poteva che essere grigia, ma la luminosità dell’ambiente, l’uso lieve del colore, la dignità e il sottile cameratismo che queste donne esprimono infondono un senso di speranza. Lo sguardo che il pittore getta sull’assieme, quasi un passante che si fermi un attimo a guardare all’interno di un ambiente attraverso una porta rimasta aperta, è percepibilmente ‘rispettoso’. Il sentimento di fondo è lo stesso che avrebbe attraversato la riproduzione di pescatori impegnati a rammendare reti, contadini al lavoro, operai che fabbricano cose. Gioacchino Toma fu pittore della dignità degli umili.

 

 

Italo Interesse

 

 

 


Pubblicato il 10 Gennaio 2018

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