Gli “audaci” mietitori finirono ai remi
In un volume di ‘De pugna doctorum’, una rivista forense pubblicata nel primo Novecento, Eliseo Danza in una “dissertazione sul giusto salario” cita il caso occorso nell’estate del 1574 : In una contrada della Capitanata, in un momento di difficoltà nel reperire manovalanza a basso costo, terrieri avevano reclutato una cinquantina di mietitori provenienti dall’Irpinia. Forse ingaggiati con la promessa di un salario degno, una volta giunti a destinazione quei lavoratori scoprirono che ad attenderli era tutt’altra mercede, una paga addirittura inferiore a quella per la quale i braccianti pugliesi si erano rifiutati di impugnare le falci. Pretesero subito un aumento. Ma l’aumento venne ritenuto da quei terrieri esagerato al punto che, a conti fatti, il ricavato della mietitura non avrebbe neanche coperto le spese. Allora gli irpini incrociarono le braccia. A quel punto i terrieri, stante l’impossibilità d’assoldare altri mietitori, finsero di accondiscendere. Promisero perciò che a lavoro finito avrebbero pagato quanto era stato loro richiesto. Nello stesso tempo, segretamente, facevano ricorso al Viceré, il quale prontamente dispose perché venisse punita “l’audacia dei mietitori”. Sicché, a mietitura avvenuta, quei poveri cafoni, invece di essere pagati, si videro tradotti nel terribile carcere di Montefusco, un paesetto nell’avellinese. In un secondo momento quegli ‘audaci’ furono condannati ai remi. Vennero perciò avviati a piedi e in catene sino a Napoli dove sarebbero stati imbarcati. Non bastasse, per ogni paese attraversato, il mesto corteo doveva fermarsi nella piazza principale : lì, previo suono di trombe, il banditore illustrava a gran voce le ragioni di quella condanna. Il pianto disperato delle donne degli sventurati accompagnò per largo tratto quel viaggio penoso che per molti fu senza ritorno. La ragione di quel trattamento così spropositato sta nel cinismo crudele degli Spagnoli i quali, fossero in pace o in guerra, erano nella perenne necessità di braccia con cui muovere la loro possente flotta. Quando era difficile reclutare vogatori volontari o quando i galeotti per gravi reati non bastavano, l’Autorità non esitava a condannare ai remi anche persone che si erano macchiate di reati lievi (e tale era la colpa degli sfortunati scioperanti irpini, i quali, in fondo, non avevano né rubato, né sparso sangue). In questi casi per lavarsi la coscienza i giudici ricorrevano alla formula ‘loco depositi’, che equivaleva pressappoco a questo : ‘Adesso io ti condanno ai remi, in seguito potrai ricorrere in appello e altro giudice deciderà’. Ma dove povera gente poteva trovare i soldi per ricorrere in appello?…Morale della favola, con gli Aragonesi mai alzare la cresta. Ingoiare qualunque rospo era sempre il male minore. – Nell’immagine, ‘Mietitura’, olio 60×80 cm. di Salvatore Ruggeri (2013).
Italo Interesse
Pubblicato il 7 Febbraio 2019