Gli “invisibili” della Fiera del Levante
Nulla è cambiato nonostante i soliti proclami di rinnovamento di presidenti vecchi e nuovi, alla Fiera del Levante continua senza pudore lo sfruttamento di manodopera. Giovani uomini e donne lavorano per un salario di venti euro al giorno, anche per tredici ore al giorno, senza contratto e assicurazione, sottoposti ad inaccettabile stress fisico e psicologico, vittime del mobbing in qualche caso. La condizione di questi “lavoratori invisibili” riceve il tacito consenso di tutti i politici, manager e responsabili che organizzano e gestiscono l’evento economico più atteso del mezzogiorno. La propaganda dei “300 posti a sorteggio”organizzata dal nuovo presidente della Fiera, Gianfranco Viesti, per dimostrare la trasparenza nella scelta del personale ed il distacco ideologico dal clientelismo che ha sempre caratterizzato la Fiera del Levante, è solo fumo negli occhi. Un fumo che, aggiunto all’indifferenza cronica del consumismo, annebbia la coscienza del pubblico. No, questa non è una “notizia spazzatura” e le parole che leggete sulle colonne di questo giornale non sono campate in aria. È una esperienza che abbiamo fatto anche noi, insieme a tanti altri, nei giorni in cui è andata “in onda” la facciata pulita della Fiera del Levante. Le testimonianze delle centinaia di ragazzi e ragazze addetti alla vendita di prodotti nelle bancarelle della famosa “Galleria delle nazioni” (sono loro che subiscono condizioni di lavoro peggiori), e negli altri padiglioni espositivi, sono state raccolte sul campo. “Dipende dal rendimento. Se mi comporto bene e vendo abbastanza mi daranno 200 euro per tutta la durata della Fiera (circa dieci giorni ndr). La giornata qui è di dodici ore al giorno con punte di tredici il sabato e la domenica”, racconta un ragazzo adolescente dietro il banco di un negozio “indiano” di sciarpe. “In pratica è come guadagnare poco più di un euro all’ora. Non è un gran che, ma ho bisogno di soldi”. La mia giornata alla Fiera del Levante inizia con un racconto che sembra uscito da un saggio di Naomi Klein. Il “Padiglione delle Nazioni” l’avevano descritto come un luogo di aggregazione culturale, e sui giornali avevano esaltato il fatto che quest’anno il numero degli espositori stranieri era aumentato rispetto agli anni passati. Avevano anche detto che tutto ciò non faceva altro che avvallare ancora di più il carattere multiculturale della Fiera: mi aspettavo di trovare una specie di “Villaggio globale”… e mi ero persino preparato quattro frasi in inglese. Ho trovato delle comuni bancarelle gestite, in parte, da espositori extracomunitari che da anni risiedono in Italia. Davanti ai banconi, in piedi a servire i clienti-visitatori, ragazzi italiani poco più che adolescenti. Come si fa a diventare uno di loro? “Devi venire due giorni prima dell’inaugurazione, mattina e pomeriggio, e devi andare in giro per tutti gli stand in allestimento, chiedendo se qualcuno vuole un aiutante”, il consiglio senza tanti giri di parole d’una ragazza esperta di cose dell’Ente Fiera. “Si lavora dalle otto di mattina alle otto e mezza di sera dal lunedì al venerdì e dalle otto alle nove e mezza il sabato e la domenica. Sai – aggiunge costernata – sabato e domenica sono gli ultimi giorni, e quindi si lavora di più”. La conversazione viene interrotta da un ragazzo che fino ad allora era rimasto in silenzio ad ascoltare le mie domande. “Io non ti consiglio proprio di venire a lavorare qui – dice – oltre a vendere la roba, ti chiedono pure di scaricarla dai furgoni e di aiutare ad allestirla sui banconi. E poi è un lavoro molto stancante: devi stare sempre in piedi e, se ti siedi, lo sguardo del padrone ti spinge a rialzarti. La pausa pranzo è solo di mezzora, e ho sentito dire che per alcuni è di una decina di minuti. Ti consiglio di evitare sto’ lavoro”. Un consiglio che non pare certo disinteressato, glielo faccio notare. “Ma cosa credi! Io qui ci sto per soldi, che altro se no! Tu fai come ti pare, io ti ho avvisato”. Ma non tutti sono della stessa idea. “Qui il lavoro mi piace”, confessa un giovane alto sulla ventina, “è divertente e poi i soldi, al lavoro terminato, te li danno subito”. Parlo con altri giovani commessi della “Galleria delle nazioni” e tutti confermano la pausa pranzo di mezz’ora, naturalmente a proprie spese: ci si prepara a casa un panino o lo si compra nelle paninoteche sparse per la Fiera; anche questo, si vede, muove l’economia. Noto un padiglione a parte, separato dal resto degli altri espositori “esotici”. Francia, scritto a caratteri cubitali, non ha bisogno di pubblicità. Anche qui ragazzi e ragazze dietro ai banconi. “Noi però non siamo mica come quelli delle altre bancarelle”, ci tiene a precisare una giovane che, con gli occhiali, il trucco appena accennato e i capelli raccolti a coda di cavallo, sembra appena uscita da un liceo, “sappiamo parlare francese e per questo ci pagano 50 euro l’ora!”. Una bella conquista per gente che “sa la lingua”. Ma non tutte possono vantarsi. “La padrona – sospira un’altra ragazza – ci ha fatto capire che quest’anno, a causa della scarsa affluenza di clienti, possiamo sognarci il salario di un tempo!”. Dal “Padiglione delle Nazioni” passo a quello dell’agricoltura; lo stemma della Regione Puglia svetta alto all’ingresso. Qui l’atmosfera è completamente diversa: niente bancarelle affollate, ma stand spaziosi dove una manciata di depliant pubblicitari sembrano i soli a godersi il paesaggio desertico animato ogni tanto dal peregrinare confuso di qualche “hostess”. Chissà se qui cercano personale. “Mi sa che hai sbagliato posto – una ragazza sui 25 anni, camicia bianca, gonna lunga ben aderente sui fianchi, sembra non aver aspettato altri che me per le sue confessioni – io sono qui grazie alla raccomandazione di un amico… lui è il portaborse del sindaco di un paese vicino Bari”. Sono tutto orecchie. “Qui non è come negli altri stand, si lavora mezza giornata e si guadagna bene: 500 euro tondi”. Ho capito l’antifona, cercherò di coltivare anch’io qualche “amicizia”. Si è fatto tardi, è ora di lasciare la campionaria. Sulla via del ritorno un paio di ragazze dal volto sorridente fanno a gara per fermare i passanti. Vendono contratti telefonici per la linea internet; se cerco lavoro posso provare presso la loro compagnia. Mi indicano un ragazzo con gli occhiali da sole che fuma beato una sigaretta di quelle leggere; alle sue spalle la scritta “Fastweb” risalta su un grande pannello giallo canarino. Quanto si guadagna? “Oh bella, dipende da quanti contratti riesci a vendere, più ne vendi e più guadagni”. E se non riesco a venderne neanche uno? “Vorrà dire che avrai guadagnato una bella abbronzatura, passeggiando per le vie della fiera sotto il sole ancora caldo di settembre”. Bella consolazione….
Mirko Misceo
Pubblicato il 20 Settembre 2011