Cultura e Spettacoli

Gli uomini-cervo del passato

Nelle pitture rupestri presenti nella Grotta del Cervo a Porto Badisco sono riprodotti uomini armati di arco che insidiano cervi dai ben sviluppati palchi. Ciò significa due cose : che seimila anni fa in Puglia i cervi erano di casa e che questi animali per i nostri remoti avi rappresentavano la preda più ambita. Non tanto per quei duecento chili di carne, quanto per le corna. Agli occhi di uomini primitivi erano quelle imponenti ramificazioni – che da sole amplificano l’aspetto di un animale di suo già potente e maestoso – a fare la differenza rispetto a zanne di cinghiale, code di lupo, pelli  d’orso, artigli di lince o penne di rapace. Catturare un cervo significava mettere le mani su un sicuro oggetto magico che prometteva carisma nei confronti dei gruppi sociali rivali (in questo caso il trofeo era ostentato all’ingresso di una spelonca  come segno di forza e scongiuro, quasi una maschera apotropaica) oppure all’interno della stessa tribù per distinguere dai sottoposti il cacciatore più abile e coraggioso, il capo tribù, l’uomo-cervo, così chiamato per il fatto di cingersi il capo di un palco. Di qui, un esercizio venatorio vicino al rito. Cose del passato : Un arco rudimentale la cui portata non superava i trenta metri e più uomini impegnati un complesso gioco di squadra che richiedeva pazienza e organizzazione. Adesso con un arco in fibra di carbonio si può fare centro anche a trecento metri di distanza. Distanza che può raddoppiarsi per un bracconiere armato di una carabina munita di mirino telescopico. E lasciamo perdere tagliole, bocconi avvelenati e altre trappole. Cinque anni fa si rischiò la strage a danno dei tremila cervi che popolano la Foresta del Cansiglio tra Belluno e Pordenone. Si parlava di abbattere 1200 capi in esubero, ritenuti responsabili della scomparsa dell’abete bianco e di una rarissima specie d’orchidea, nonché di scacciare dal loro habitat daini e caprioli e di rubare cibo ai bovini allevati nelle aziende zootecniche. A fermare i grilletti di squadre di cacciatori ingaggiate per dare corso al ‘prelievo selettivo’ furono le proteste degli animalisti. Alla fine si optò per la più ragionevole cattura dei capi in esubero, poi da spostare in altri areali. Per fronteggiare le elevate spese di cattura, trasporto e reintroduzione si pensò  persino di chiedere aiuto ai privati (anni prima la campagna ‘Un cerbiatto per amico’ promossa dal WWF per tenere in vita la colonia del cervo sardo presente nell’Oasi di Monte Arcosu aveva riscosso un successo notevole). Ma non se ne fece niente. Così i cervi rimasero al Cansiglio a riprodursi indisturbati. Sarebbe stato bello, però, vedere cervi a spasso per la Foresta Umbra o per il bosco di Mercadante. Piuttosto che i cinghiali…

Italo Interesse


Pubblicato il 15 Marzo 2018

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