Cultura e Spettacoli

Hans, l’illusione si chiama Maria

Hans, un clown, è solo in casa, malconcio dopo un brutto colpo al ginocchio. Ma a procuragli maggior dolore è il fatto – sul quale rimugina – che la sua Maria l’abbia abbandonato, e per il peggior partito. Poi il clown riceve il padre, fa qualche telefonata, infine esce per andare a raccogliere qualche spicciolo alla stazione suonando la chitarra. Sono passate circa tre ore. ‘Opinioni di un clown’, l’opera principale di Heinrich Böll, sembra pensata per il teatro. Roberto Negri allora ci prova. Molti gli apprezzamenti per questa produzione Tiberio Fiorilli che nell’ultimo fine settimana è stata in cartellone al Nuovo Abeliano. Negri affida a Stefano Skalkotos il ruolo di Hans e resta aderente al testo, salvo materializzare Maria (la fresca Chiara Condrò) nei momenti di più acuto rimpianto. L’innesto di Maria non spezza il senso di solitudine che la figura di Hans ispira. Il che si ripete anche quando un vigoroso Roberto Negri irrompe in scena nei panni del padre. Dunque, la  percezione di uomo auto confinatosi ai margini del prossimo, percezione così ben espressa nel romanzo, è qui felicemente riprodotta. Oltre al buon lavoro di Skalkotos, concorre al successo di questa riproduzione la scena disegnata da Rossella Ramunni. La stanza di Hans, che in considerazione del personaggio è ragionevole immaginare povera, soffocata dal disordine e soprattutto piccola, qui appare  immensa. Tra telefono e separé pendola, gira a vuoto un uomo tormentato. Il prossimo è a pochi metri di distanza, oltre la porta, oltre i muri, eppure appare distante migliaia di chilometri. Sembra che lo sfortunato clown vaghi per una landa deserta, lontano da un consorzio umano responsabile di una messa al bando. Sicché le voci al telefono della madre, del fratello o del procuratore non avvicinano niente e nessuno. E l’arrivo del padre suona irreale, vicino ad una fantasia, al pari della materializzazione di lei. E ancora acuiscono questa impressione di distacco la presenza in scena di oggetti rigorosamente vintage. Una cassapanca rosicchiata, valigie in cartone pressato, un giradischi portatile e un pesante telefono nero con selettore a disco non rievocano soltanto gli anni sessanta nei quali si ambienta la vicenda di Hans, adagiano sull’allestimento un velo di polvere, di silenzio ed ombra. Accecato da Maria,  segnato da irrisolti traumi infantili, Hans si è dimenticato di sé stesso. Rimettendosi al buon cuore del passante egli rinuncia a vivere. Gli fa compagnia l’illusione che Maria ritorni, che Maria sia l’irrinunciabile cuore del mondo. Una messinscena intensa, meritatamente applaudita.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 2 Febbraio 2016

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