Cultura e Spettacoli

I Dauni soccorsero il cartaginese

Nella sua più celebre opera, ‘Storie’, Polibio tramanda che quando “si fermò nella regione presso l’Adriatico (l’Apulia – ndr)”, Annibale ebbe necessità di curare uomini e bestie, tormentati dalla scabbia. Pur reduce dai trionfi in riva al Ticino, al Trebbia e al Trasimeno, quello condotto dal cartaginese in Apulia nell’estate del 216 avanti Cristo era un esercito stanco e malandato. Annibale trovò aiuto nei Dauni, una stirpe discesa dall’ibridazione della gente japigia – approdata da noi mille anni prima – con gli indigeni dell’area garganica. I Dauni procurarono ad Annibale l’unico rimedio che il mondo antico conosceva a quella contagiosa patologia: il “vino vecchio”, cioè l’aceto, di cui i cartaginesi evidentemente aveva esaurito le scorte. Ma la scabbia era solo uno dei tanti problemi dell’armata punica. Annibale cominciava ad essere a corto anche di uomini e cavalli. Le tre vittorie su Roma avevano richiesto un alto tributo di sangue. Per questo Annibale era alla perenne ricerca di alleati tra le popolazioni italiche. Poi, aveva bisogno di cavalli. Il condottiero cercava bestie forti, ben addomesticate e al contempo agili, ruotando la sua geniale strategia intorno al dinamismo della cavalleria. Ancora i Dauni gli vennero in soccorso. Un forte contingente di questa stirpe si lasciò assoldare (e con i buoni risultati che si videro di lì a poco). Gli stessi Dauni misero a disposizione del cartaginese i cavalli. Nell’Apulia dell’epoca trottava da millenni un cavallo dalle caratteristiche ideali. A selezionarlo erano state le asprezze dell’altopiano murgiano, che ne avevano fortificato zoccoli, muscoli e valorizzato il senso dell’agilità. Lo stesso animale sul quale 1400 anni dopo Federico II avrebbe investito per definire attraverso ibridazioni mirate il cavallo perfetto per la caccia. Parliamo insomma dell’antenato dell’attuale e rinomatissimo cavallo murgese. I murgesi di Annibale dovettero rivelarsi determinanti a Canne. Sappiamo che Annibale, essendo in inferiorità numerica, dispose che la linea cartaginese assecondasse, flettendosi, l’impeto della fanteria romana. Quando le forze di Roma si ritrovarono all’interno di una sacca a semicerchio, la cavalleria nemica, fino a quel momento inattiva, si precipitò a prendere il nemico alle spalle muovendosi a tenaglia. Un’azione tempestiva e potente che diede inizio alla spaventosa carneficina (i caduti romani furono quasi 68mila stando a Livio e più di 85mila secondo Polibio). Senza una cavalleria rinnovata, Annibale non avrebbe conseguito il più celebre successo militare della storia.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 2 Ottobre 2021

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