Cultura e Spettacoli

I forzati dei ‘trabucchi’

Verso la fine degli anni sessanta Elio Piccon intitolò ‘Cavalli ciechi’ un cortometraggio girato sugli ultimi ‘traboccanti’ pugliesi

Ai tempi della civiltà contadina si usava prendere asini e cavalli ormai avanti negli anni ma ancora capaci di un minimo sforzo e bendarli all’altezza degli occhi, affinché, così ‘accecati’, potessero ‘concentrarsi’ sull’esercizio muscolare e girare in tondo spingendo stanghe collegate alle mole dei trappeti o alle ruote delle norie (macchine con cui si cavava acqua dal fondo dei pozzi artesiani). A lavoro finito, le bestie venivano riportate nelle stalle, dove la benda non veniva sciolta affinché esse non perdessero quella dimestichezza con l’oscurità così proficua sul piano del rendimento commerciale. Quando infine quei poveri quadrupedi diventavano così vecchi da non spingere più a sufficienza, ancora ‘ciechi’ venivano condotti al mattatoio. Rapportato al mondo degli uomini, il doloroso impiego degli animali ‘ciechi’ non può che evocare o la schiavitù o la desolazione di lavoratori piegati a lavori stremanti e scarsamente remunerati. Ragionando su quest’ultima immagine, Elio Piccon, un cineasta vissuto fra il 1925 e 1988 (già reduce dal successo di ‘L’antimiracolo’, un toccante documentario sulla vita della gente di San Nicandro Garganico), verso la fine degli anni sessanta intitolò ‘Cavalli ciechi’ un cortometraggio girato sugli ultimi ‘traboccanti’ pugliesi. Costoro costituivano una classe di lavoratori così chiamati per il fatto di praticare la pesca coi trabucchi, macchine consistenti in piattaforme lignee costruite nei punti più prominenti ed elevati della costa e fornite di lunghi bracci (antenne) protesi verso l’acqua. Le antenne sostenevano una rete che, immersa in acqua, attendeva il passaggio dei pesci. Quando il ‘segnalatore’ dava l’allarme, gli altri traboccanti azionava un argano e la rete veniva tirata su. Divenuta sempre meno redditizia, la pesca col trabucco non si pratica più da almeno cinquant’anni. Ciò rende particolarmente prezioso ‘Cavalli ciechi’. L’opera di Piccon ha la caratteristica di trasmettere un senso di capolinea, di fine corsa, di vicolo cieco. Nella sottolineata stanchezza di questi uomini è percepibile la sensazione d’aver fatto il proprio tempo. Opportunamente la regia si sofferma su sguardi impotenti rivolti al mare, attraversato da potenti pescherecci a motore: Il progresso, il futuro e il pane sono là, irraggiungibili. E’ troppo tardi per voltarsi da pescatori ‘di costa’ in pescatori d’alto mare. Non resta perciò che rassegnarsi all’attesa, nella speranza (spesso frustrata) di un branco di pesci grosso abbastanza da giustificare tanto silenzioso sacrificio. Attesa su cui Piccon si sofferma indugiando su questi corpi seminudi esposti al sole, immobili, accucciati come bestie sul tavolato del trabucco, Poi improvvisamente risuona il richiamo della vedetta (sistemata in precario equilibrio alla punta di un braccio) e i traboccanti si scuotono dal torpore, accorrono agli argani. Comincia il breve, stremante lavoro di sollevamento della rete. Bisogna far presto se si vuole evitare che il pesce sfugga a questa trappola impropriamente chiamata trabocchetto, da cui ‘trabucco’. Ingobbiti nello sforzo, simili a forzati addetti a macine, gli uomini spingono con tutta la loro forza. L’immagine, sconsolante, dà di ‘vinti’. E col Verga, la memoria corre a quei poveri quadrupedi di cui in apertura.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 12 Dicembre 2024

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