Cultura e Spettacoli

I maestri dell’intreccio

Contrariamente a quanto si può immaginare, l’arte cestaia – intesa come virtuosismo del manufatto –  non vanta le stesse remote origini di oreficeria, pittura o ceramica. In passato l’arte dell’intreccio era abilità comune tra i contadini i quali, nei limiti del possibile, nelle pause del lavoro si dedicavano alla fabbricazione di qualunque cosa potesse tornare utile al loro lavoro utilizzando le risorse che la natura metteva a disposizione. I canestri, i cesti e le impagliature di un tempo erano cose funzionali, sì, ma alla buona ; come tali, non reggevano il confronto con i ben più sofisticati – e costosi – prodotti oggi in vendita nei negozietti dei centri storici (di contro, la moderna agricoltura fa più volentieri ricorso a contenitori in plastica che a contenitori ottenuti intrecciando fibre vegetali). Per paradosso, dunque, i maestri cestai costituiscono una novità relativamente recente, emersa col diffondersi del fenomeno turistico, avvenuto alla fine del Settecento, quando tra i giovani aristocratici europei divenne tendenza il Grand Tour, il lungo viaggio formativo che si concludeva invariabilmente in Italia, non esclusa quella del sud. Tra i molti souvenir di cui questi rampolli della migliore società tornavano in patria carichi, in mezzo a disegni, stampe, ceramiche, dipinti e stoffe non mancava un cestino in vimini. Nella Puglia del primo Novecento, in cui le zone umide erano la norma lungo la costa adriatica, con le erbe palustri si arrivava a fabbricare imbarcazioni, capanne e utensili. Le specie vegetali impiegate erano prevalentemente giunco e vimine, ma abbastanza bene rispondevano pure gli arbusti d’ulivo, del melograno e del gelso, purché levigati e ammorbiditi con prolungati bagni d’acqua calda. Con quel materiale così trattato si confezionavano cestini, sporte,  canestri, scope, fondi di sedie, fasciature di fiaschi e damigiane, poltrone ed altri arredi e involucri per alimenti (si pensi alla fiscella della ricotta o alla nostra giuncata, il noto formaggio fresco di latte caprino o vaccino dalla caratteristica forma cilindrica o fusiforme che prende nome dalla ‘fuscera’ di giunco in cui viene inserita la cagliata). Al presente maestri cestai pugliesi sono attivi a San Severo, Cassano, Trani, Pezze di Greco, Castellaneta e soprattutto Acquarica del Capo. Nell’Ottocento le borse di giunco di Acquarica del Capo venivano vendute in ogni parte d’Italia. Alcune botteghe di quel paesetto del sud della Puglia evolsero in fabbrichette. Quella del signor Zonno, nella seconda metà dell’Ottocento, arrivò ad esportare i suoi prodotti anche all’estero, soprattutto in Inghilterra e in Svizzera. Alcuni studiosi locali ricordano che già nel 1873 i prodotti di giunco acquaricesi erano in mostra all’Esposizione Universale di Vienna. (esiste su Facebook il Grupo Cestaie e Cestai Italiani, mentre presso la Fattoria Didattica Giarol Grande di Verona è attiva una scuola di cesteria gestita da Biosphaera). – Nell’immagine, Silvia Onofri, attiva a Dagala del Re, nel catanese.

Italo Interesse


Pubblicato il 30 Agosto 2019

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