Cultura e Spettacoli

I morti ‘conferiti’ nei crepacci

Si sostiene – a torto – che un tempo l’ambiente fosse incomparabilmente più sano per effetto del rispetto portatogli dagli Antichi. Gli è semmai che fino al Settecento la popolazione era contenuta e i mezzi di produzione artigianali. Con un territorio scarsamente antropizzato e una produzione artigianale dei beni di consumo, cioè a limitatissimo impatto-rifiuti, non fa meraviglia che Madre Natura non faticasse ad assorbire il danno. Non di meno i nostri progenitori inquinavano eccome. In passato, per esempio, per ricavare l’argento bisognava riscaldare quel minerale a temperature altissime liberando nell’aria grandi quantità di metalli pesanti. I mattatoi riversano il sangue nell’acqua dei fiumi o dei mari. Allo stesso modo i tintori si liberavano della sostanze chimiche esauste. Le cave abbandonate si riempivano di ogni genere di immondizia. Sulle strade gli escrementi lasciati dagli animali  restavano sino a quando non si decomponevano. I liquami venivano smaltiti entro pozzi neri a perdere… Da noi, qui in Puglia, terra carsica per eccellenza, i luoghi deputati allo smaltimento dei rifiuti erano i crepacci collegati a profondissime cavità naturali. Cosa non si è scaricato in questi inghiottitoi. Sopratutto le carogne degli animali morti per qualche epidemia o morti per vecchiaia e quindi non macellati per tempo. La sbrigativa soluzione presentava il grosso vantaggio di non dover ricorrere a roghi maleolenti o di non dovere affidare alla natura il processo, lento e potenzialmente infettivo, di decomposizione. In queste voragini tra l’altro finivano non poche salme : condannati a morte, scomunicati, guerrieri nemici… e appestati. Nel 1656 la Puglia fu devasta da una violenta epidemia di peste che trovò l’Autorità impreparata nel fronteggiare l’emergenza. La cattiva esperienza si rivelò d’aiuto trentaquattro anni dopo, quando l’orribile morbo si ripresentò. Questa volta la peste non procurò gli stessi danni che in passato, vuoi per la minore diffusione del fenomeno, rimasta circoscritta a Conversano, Monopoli, Polignano, Mola, Fasano e Castellana, vuoi per le rigorose misure assunte. La più severa di queste consisteva nel ‘muro della peste’, ovvero una cintura sanitaria stretta intorno ai centri abitati colpiti. Nessuno poteva oltrepassarla in un verso o nell’altro, a meno di volersi buscare una palla tirata dai soldati di sentinella. Restava comunque il problema dello smaltimento delle salme. A Fasano scelsero di ‘conferire’ quei poveri resti in una grave che si apre a meno di tre chilometri dall’abitato e che da allora ha preso il sinistro nome di Grave degli Appestati. In circostanze analoghe e in periodi differenti alla stessa dolorosa bisogna furono destinate la ‘cisterna’ della Madonna dell’Altomare  (Andria ) e la Grotta presso la Cappella di San Gusmano (Conversano).

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 1 Aprile 2020

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio