I trappeti di ieri, i frantoi di oggi
La necessità di garantire il consumatore da frodi, obbliga i produttori a etichette sempre più dettagliate. Ad esempio, su quelle dei prodotti da forno o di pasta si può leggere : ‘macinazione a pietra’ ; il tutto accompagnato da immagini che illustrano questo millenario sistema di ricavare la farina stritolando il grano con una pesantissima mola rotante a trazione animale. Le mole dei moderni frantoi non consistono più – come nei trappeti di ieri – in manufatti faticosamente ricavati a mano da un unico blocco unico di roccia, bensì in un ancora meglio resistente impasto industriale di selce, magnesite e smeriglio. Accantonati per obsolescenza, questi dischi di candido calcare voluminosi quanto pneumatici da tir oggi arredano giardini, masserie e altre restaurate residenze di campagna. Macine che in silenzio, nella loro monumentalità attestano lo sforzo inumano di generazioni di sfruttatissimi scalpellini. Da dove venivano quelle macine? A causa del loro peso, esse non si prestavano a lunghi viaggi : La pessima qualità delle vie di una volta e i mezzi di trasporto impiegati (carri agricoli non certamente ammortizzati) potevano lesionare il blocco o frangerlo strada facendo. Per cui le macine venivano acquistate sempre dalla cava più vicina. Ciò significava, almeno qui in Puglia, un tipo di pietra sensibilmente diversa dal Gargano al Salento. Ovvero un differenza anche sensibile nella qualità del prodotto finito, olio o farina che fosse. Quanto durava una mola? Dipendeva dall’uso che se ne faceva e dalla durezza della stessa. Periodicamente, ogni macina andava ‘martellata’ al fine di restituire la giusta ruvidità alla superficie destinata alla triturazione. Perdendo alcuni millimetri ad ogni martellatura, la mola finiva col non avere più sufficiente aderenza col piano di molitura. Il risultato era una macinazione scadente. Il che determinava la necessità di una sostituzione. In definitiva, più dura era la qualità delle selce o del calcare impiegato, maggiore era la vita della macina. E quale il costo di questi indispensabili strumenti di lavoro? E’ stato calcolato, orientativamente, che il valore di una pietra molare equivaleva al reddito di dieci anni di lavoro di un manovale. A tale prezzo andava aggiunto quello del trasporto e quello del posizionamento. Un lavoro, quest’ultimo, eseguito a braccia e che diventava stremante, oltre che pericoloso (chissà quanti piedi e mani cioncate) allorché il trappeto, come spesso qui in Puglia, era collocato in un ipogeo. Per una questione di rispetto, l’unico posto per queste mole dovrebbe essere un museo. E invece, ostentate dai riccastri sui loro prati all’inglese, quelle mole sembrano voler riconfermare il disprezzo senza tempo delle classi ‘alte’ verso chi nella scala sociale è posizionato in basso.
Italo Interesse
Pubblicato il 19 Febbraio 2019