Il cane di Ercole schiacciò il murice e…
Ai tempi della Roma imperiale le merci che arrivavano ad Ostia veniva imbarcate su chiatte prima di risalire il Tevere fino all’Emporium, il porto fluviale, dove venivano scaricate.. In tanto traffico era fatale che qualcosa si sfasciasse, le anfore più facilmente d’ogni altra cosa. Nei secoli tali cocci (‘testae’) si accumularono a montagnola sino a dare vita ad un rilievo artificiale alto ben 35 m., il Mons Testaceus, poi detto Testaccio, da cui il nome del corrispondente e attuale quartiere capitolino. Questi casi non sono rari. Uno, sia pure minore, è stato registrato anche in Puglia. Sino alla fine dell’Ottocento, come testimoniato da viaggiatori stranieri, in riva al Mar Piccolo a Taranto si ergeva un enorme cumulo di gusci di Bolinus Brandaris, ovvero il murice, il mollusco da una cui ghiandola, come è noto, viene secreto un liquido violaceo che in passato si adoperava per colorare le stoffe. Tale collinetta, era detta Monte dei Coccioli e si levava non lontano dai resti di una specie di stabilimento per la lavorazione della porpora. Esso consisteva in un fosso aperto nel terreno a forma di caldaia nel quale “mettevano capo due condutture, l’una per immettervi l’acqua e l’altra per farla defluire in un altro fosso le cui fabbriche sono distrutte” ma di cui restano tracce color porpora. A Taranto si produceva una tinta rosso-porpora che non aveva eguali nel mondo antico e che veniva ottenuta mescolando le tinte secrete dalle varietà più pregiate di murice, quella di Tiro (in Libano) e quella della Laconia, la regione di cui Sparta era capoluogo. Il Monte dei coccioli, ha rappresentato la maggiore testimonianza della vivacità di questo settore produttivo cui corrispondeva un traffico straordinariamente intenso tra Taranto e i porti dell’Est del Mediterraneo. Plinio racconta come i pescatori tarantini avessero escogitato un sistema ingegnoso per catturare il murice sfruttando l’ingordigia di questo mollusco: In un sacco a rete fitta veniva introdotta una certa quantità di cozze, in precedenza tenute lontane dall’acqua di mare fino ai limiti della sopravvivenza. Quando poi, insaccate, venivano immerse nuovamente in mare, le cozze subito ritornavano a respirare schiudendo il guscio. Attratti dall’odore, i murici accorrevano. Non potendo col loro irto guscio introdursi nei varchi della rete, aggredivano con la lunga e acuminata lingua i mitili più vicini, che si chiudevano in difesa. I murici che non facevano in tempo a ritirare la lingua, ed erano i più, rimanevano intrappolati come in una morsa. Quando poi la rete veniva tirata su, i murici pendevano a grappoli. Per i pescatori era facile allora staccarli e selezionarli. I più grossi venivano messi da parte. Una volta rotti, se ne estraeva il frutto per mezzo di un uncino di ferro. La ’borsa’ contenente il colore veniva separata e messa sotto sale per tre giorni. Maggiore era la freschezza del murice, tanto più vivo era il colore violaceo che se ne ricavava. Infine una curiosità di carattere mitologico : La scoperta della porpora color porpora è attribuita al cane di Ercole il quale un giorno schiacciando fra i denti una di queste conchiglie trovata sulla spiaggia sarebbe rimasto per sempre con le mascelle macchiate di rosso porpora.
Italo Interesse
Pubblicato il 3 Settembre 2018