Cultura e Spettacoli

Il canneto di Isabella

Col termine canneto si usa designare quei siti per lo più acquitrinosi occupati da graminacee a culmo legnoso. Un tempo la Puglia ne era piena lungo le rive dei pochi fiumi di superficie e, ancor più, sulle coste del basso Adriatico e dell’alto Jonio in  prossimità degli sbocchi sorgivi. In vaste aree i canneti si presentavano così fitti da impaludarle. Una delizia per i cacciatori (i canneti sono l’habitat di moltissime specie di uccelli), un castigo di Dio per chi viveva a contatto di questi acquitrini, motivo di tormento ad opera di insetti, miasmi e malaria. Dei tanti canneti di Puglia resta debole traccia nei pochi tratti umidi sfuggiti alle opere di bonifica e all’antropizzazione. Resta traccia pure in qualche toponimo. E’ il caso di Canneto, comune autonomo sino al 1927, anno di fusione col contiguo comune di Montrone da cui derivò la nascita dell’odierna Adelfia. A separare i due centri abitati è una lama in cui una volta scorreva il torrente Montrone. Evidentemente, una riva del Montrone si distingueva dall’altra per le presenza di un canneto e così…. (per la cronaca, esistono pure Canneto Lipari e Canneto di Caronia nel messinese, Canneto Pavese vicino Pavia e Canneto Sabino in provincia di Rieti). Si diceva prima dell’antropizzazione che strappa lembi di volto al pianeta e li rimodella. La Natura tuttavia è lesta a riprendersi il maltolto. Restando ai canneti, vediamo cosa è successo nell’ex ansa di Marisabella, che fino a pochi anni fa si allargava dove via Brigata Regina incrocia Corso Vittorio Veneto. Ai tempi d’Isabella d’Aragona (XIII – IV secolo) allo stesso sito corrispondeva la foce del torrente Picone. A causa però della modesta portata, le acque del Picone faticavano ad aprirsi la strada verso il mare trovando ostacolo nei depositi di alghe favoriti da uno sfavorevole gioco di correnti. Stagnando, l’acqua del Picone dava vita ad un acquitrino avvolto da fitti canneti. Essendo la palude fonte di miasmi che raggiungevano la città, la Duchessa barese decise di bonificare il sito. Superiore alle possibilità tecniche del tempo e alle casse del ducato barese, l’impresa venne abbandonata dopo pochi anni. Per vedere l’area finalmente bonificata si dovette attendere la prima metà del Novecento. Coperto il fango con pietrisco ed estirpato l’ultimo ciuffo di canne, l’ex foce del Picone (nel frattempo convogliato più a nord per mezzo del Canale derivatore Lamasinata) assunse altro aspetto : un vasto e quieto specchio d’acqua interdetto alla navigazione per via dei bassi fondali. Poi, una ventina d’anni fa (tenendo in scarso conto l’impatto ambientale), vennero avviati i lavori per colmare l’ansa e farne luogo di transito e sosta per tir. Nella circostanza si evitò di soffocare uno sbocco sorgivo per il quale venne creato un corridoio d’accesso al mare. Ebbene, quel corridoio lungo un cinquecento metri e largo cinque si è rinaturalizzato. Una fitta vegetazione palustre ora lo avvolge d’ambo i lati offrendo ricovero a uccelli di palude richiamati dalla vicina Lama Balice e dalle più lontane zone umide di Torre Canne e di Margherita di Savoia. Dopo cinque secoli il canneto di Isabella ha rialzato la fronte.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 17 Marzo 2021

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