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Il “caso Bari” non è più un enigma, ma le “ombre” sono comunque superiori alle luci

“Ma chi ha nominato i vertici delle partecipate ora finite sotto il controllo commissariale?”

Il “caso Bari” non è più un enigma. Infatti, a distanza di 11 mesi dalle rivelazioni dell’inchiesta giudiziaria “Codice interno”, che poi – come è noto – ha fatto scattare sul Comune del capoluogo l’indagine amministrativa del Ministero degli Interni, con la nomina di una Commissione di accesso agli atti ai sensi della normativa antimafia, possiamo tutti tirare finalmente un sospiro di sollievo nell’apprendere che dall’indagine effettuata dal Viminale non sono emersi fatti rilevanti, che avrebbero potuto determinare lo scioglimento dell’Assemblea cittadina per infiltrazioni della criminalità organizzata sull’attività dell’Ente barese di corso Vittorio Emanuele. Quindi, quella che fino a qualche giorno fa era una “spada di Damocle”, per le conseguenze politiche che si sarebbero potute verificare sia sulla testa della nuova Amministrazione cittadina che su quella precedente, interessata dall’indagine ministeriale, è invece caduta a vuoto, o quasi. Infatti, lo sventato scioglimento del Consiglio comunale per ragioni di sicurezza pubblica non determina alcuna “sanzione” di carattere personale, né sul sindaco in carica, Vito Leccese, che resta al suo posto, né sul predecessore, Antonio Decaro, che potrà candidarsi a Presidente della Regione, se il suo partito, il PD, e la coalizione di cui fa parte accetteranno di assecondare tale ipotesi. Però, se in questa vicenda il principale enigma del “caso Bari” può dirsi sciolto grazie all’inesistenza di fatti sanzionabili con il commissariamento dell’Ente, non può dirsi altrettanto sugli altri enigmi (minori), che pur scaturiscono dall’esame complessivo della vicenda. Difatti, gli annunciati provvedimenti che, oltre all’Amtab già sottoposta dal 26 febbraio dello scorso anno ad un controllo commissariale, interesseranno anche altre due partecipate comunali, l’Amiu e la “Bari-Multiservizi”, insieme ad atti sanzionatori che colpiranno taluni dipendenti comunali infedeli, tra i quali alcuni addirittura con qualifica di “agenti di Polizia giudiziaria”, lasciano presumere che al Comune di Bari, prima dell’inchiesta “Codice interno”, proprio tutto apposto i fatti non stavano. E che tali fatti non fossero così gravi da determinare lo scioglimento del Consiglio comunale è un altro discorso. Allora, alla luce di ciò, si può ritenere che la nomina, a marzo dello scorso anno, della Commissione di accesso agli atti da parte del Viminale non è stato di certo un “atto di guerra” contro la città, come invece la definì l’ex Primo cittadino, Decaro, che – da non dimenticare – portò in piazza circa 10mila cittadini a manifestare contro quella decisione ministeriale. Ma alla luce di quanto rilevato, i cittadini che non si lasciano suggestionare dagli slogan fatti circolare ad arte dall’ex sindaco Decaro e dalla società che lo assiste nella comunicazione politica qualche riflessione in più sul “caso Bari” verosimilmente la fanno. Infatti, la prima domanda che i baresi non suggestionati dal vittimismo dell’ex Primo cittadino si pongono è: “Ma chi ha nominato i vertici delle partecipate ora finite sotto il controllo commissariale per gli atti ed i fatti poi scoperti dalla terna dei commissari ministeriali?” Ed ancora: “Chi aveva la delega a vigilare sulle partecipate in questione?” Ma c’è di più! A tali interrogativi se ne potrebbero aggiungere tranquillamente altri, riguardanti le responsabilità di chi aveva il compito di coordinamento e controllo su tutte le Ripartizioni ed attività del Comune. Figure, queste, che – come è noto – sono anch’esse espressione fiduciaria e, quindi, diretta del sindaco. Allora, piuttosto che limitarsi a gioire per lo scampato pericolo di incandidabilità, sarebbe forse il caso che l’ex sindaco Decaro si assumesse le proprie responsabilità, spiegando alla Città i motivi di ciò che è accaduto sotto la sua gestione al Comune ed alle partecipate. Diversamente sarebbe lecito ipotizzare, in un caso, che Bari per 10 anni sia stata amministrata da un sindaco negligente, inesperto o, forse, incapace nel ruolo ricoperto o, nell’altro, che sia stata gestita da un sindaco furbastro, che per ragioni di clientelismo elettorale era accondiscendente, per cui anziché aprire bene gli occhi sulle situazioni, li chiudeva entrambi. E, su questa seconda ipotesi, la scandalosa vicenda delle pastaie domestiche di Bari vecchia che, senza una benché minima autorizzazione sanitaria, sono state erette ad emblema della città, è rappresentativa di come è stata governata Bari nell’ultimo decennio. E queste sono riflessioni inquietanti che su “caso Bari” gettano “ombre” più della luce che il fortunoso mancato scioglimento del Comune ha finora prodotto.

 

Giuseppe Palella


Pubblicato il 11 Febbraio 2025

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