Cultura e Spettacoli

Il console si sacrificò per Roma

Si dice ‘vittoria di Pirro, per intendere un successo conseguito a prezzo rovinoso.  Vuole la leggenda che Pirro abbia pronunciato la celebre fase (“Un’altra vittoria così e sarò perduto”) da cui è stato coniato il motto in occasione della battaglia di Ascoli Satriano, combattuta nel 279 a. C. contro Romani. Reduce dall’iniziale vittoria di Heraclea, il re dell’Epiro, che era al comando un’imponente coalizione (40mila uomini) composta da epiroti, tarantini, alleati italici e mercenari balcanici, si impose ancora, ma a costo di ingenti perdite. Soprattutto, il risicato successo non produsse l’effetto più atteso : la rivolta contro Roma delle popolazioni rimaste neutrali. La mancata risposta di queste tribù italiche, di fatto segnò, l’inizio del declino di Pirro, poi suggellato dalla sconfitta di Benevento, che fece da preludio al suo ritorno in patria. Ma la battaglia di Ascoli Satriano è passato alla storia anche per un altro motivo : la morte del console Publio Decio Mure. Morte avvenuta, sembra, nel corso della battaglia e non per mano nemica, ma volontariamente, a seguito di una  ‘devotio’ (fonte : Cicerone, ‘Tusculanae Disputationes’). La devotio era una pratica religiosa dell’antica Roma secondo la quale il comandante si immolava agli Dei per ottenere in cambio della vita la vittoria dei suoi uomini. Ciò che sorprende in questa storia è che il console in questione portava lo stesso nome del padre e del nonno. I due precedenti Publio Decio Mure erano morti in battaglia allo stesso modo, cioè per devotio : Il nonno si sacrificò nella battaglia del Vesuvio (339 a.C.) contro il latini, il padre nel 295 a Sentino combattendo conto i Galli. Sulla veridicità di questa tradizione di famiglia, gli storici sono divisi. C’è chi pensa che l’unica devotio sia stata praticata dal secondo Publio Decio Mure (ed enfaticamente celebrata da Livio) e che in tempi successivi lo stesso gesto sia stato attribuito per magnificenza anche al padre e al figlio. Facendo slittare lo stesso ragionamento di una generazione, altri studiosi sostengono invece che l’unica reale devotio sia da attribuire all’ultimo console di quella generazione e che il racconto di Livio risenta del limite più grande dello storico patavino : la tendenza a romanzare anche a costo di forzare la realtà. Come si moriva per devotio, col veleno, recidendosi le vene o affondando nel proprio ventre il gladio? Livio dice che Publio Decio Mure, espletate le formalità religiose, “si lanciò a cavallo tra le file nemiche. Dopo aver ucciso molti nemici, cadde a terra in modo eroico, abbattuto dai dardi. Questo gesto diede ai suoi una tale fiducia e un tale vigore che essi si gettarono con grande impeto nella battaglia. I nemici, confusi, cominciarono ad arretrare sotto la foga delle forze di Roma rincuorate dal sacrificio del proprio comandante. La vittoria, alla fine, arrise ai Romani”.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 17 Settembre 2016

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