Cultura e Spettacoli

Il fido portaordini, ‘ardito’ di Puglia

Tenente di vascello della Regia Marina, Andrea Bafile morì eroicamente sul Piave l’11 marzo 1918. Già distintosi nel 1911per aver salvato la nave Quarto da un incendio che minacciava di farla esplodere (gesto che gli valse la medaglia d’argento al valor militare), Bafile si mise nuovamente in luce il 4 ottobre 1917 pilotando uno degli aerei della squadriglia guidata da Gabriele D’Annunzio che partita in volo da Gioia del Colle raggiunse le bocche del Cattaro dove bombardò la flotta austriaca. L’ultima impresa la firmò all’indomani della disfatta di Caporetto. Dalla motivazione del conferimento della medaglia d’oro alla memoria si legge che, mentre le truppe italiane si erano attestate oltre il Piave, il Bafile accompagnato da tre arditi “volle personalmente osare un’arrischiata ricognizione tra i canneti e i pantani della sponda sinistra (del Piave n.d.r.) perché dallo strappato segreto delle difese nemiche  traesse maggiore sicurezza la sua gente”. Compiuta la missione, “già trovava riparo, quando notò la mancanza di un ardito. Rifece allora da solo la via perigliosa per ricercarlo e, scoperto poi dal nemico mentre ripassava il fiume e fatto segno a vivo fuoco, veniva mortalmente ferito.  Guadagnata la sponda destra… riferiva quanto osservato nella ricognizione… e passò sereno qual visse…”. La cronaca piuttosto asciutta non rende giustizia alla drammaticità dell’episodio che invece vibra in tutta la sua potenza  nella ricostruzione del portaordini che prese parte alla spedizione insieme agli altri tre Arditi Baldo, Bertagna ed Esposito. Questo portaordini si chiamava Giovanni Anaclerio ed era pugliese. Dice l’Anaclerio che “armati di tubi di gelatina, di bombe a mano, pugnale e moschetto… ci imbarcammo alle 21”. A bordo di una “zemola” (canotto di gomma gonfiabile) l’audace ‘commando’ raggiunse la riva opposta. Lasciato a guardia della zemola l’Esposito, Bafile e gli altri si inoltrarono in quello che era diventato territorio nemico. “Carponi, tagliando cavalli di frisia e bassi reticolati fra il fieno… prendemmo la direzione dell’osservatorio situato fra le batterie di Ca’ de’Ossi e di Ca’Finanzia per poi piegare su una di esse e tentare il gran colpo”. Il quale gran colpo consisteva nel far saltare in aria il deposito munizioni delle suddette batterie. “Eravamo a buon punto quando… si levò un razzo luminoso…  raffiche di mitragliatrici radevano il fiume. Anche l’artiglieria si dette a battere il corso del Piave… Forse avevano scoperto l’Esposito”. A quel punto il comandante Bafile e i suoi uomini si affrettarono verso il punto dove avevano lasciato la zemola. Ritrovarono l’imbarcazione, non l’Ardito rimasto di guardia, probabilmente catturato (non se ne seppe più nulla). “Sul posto dov’eravamo sbarcati ci ritrovammo in una morsa, eppure il Comandante volle eseguire personali ricerche di Esposito, ricerche vane”. Quell’attardarsi fu fatale. “La zemola non superò bene la corrente e fu trascinata a sud, nonostante Bertagna facesse immensi sforzi per raggiungere subito la riva nostra. Di lì a poco egli fu ferito e il suo posto lo presi io. Poco ancora e avremmo accostato a riva, quando la mortale pallottola colpì all’inguine l’amatissimo”. Condotto all’ospedale di Ca’Silicia, Andrea Bafile sopravvisse poco. Un attimo prima di andarsene si rivolse al portaordini : ‘Anaclerio vedi! Questa medaglina è ricordo di mamma mia, ti raccomando di baciarla e darle le medaglina. Passa pure da Gabriele d’Annunzio e recagli l’ultimo saluto ed un bacio del suo vecchio amico. Quindi mi allacciò il collo con un bacio, ringraziandomi di non so quale dovere avessi superato per lui ed in quella posizione subito dopo rese a Dio ed alla Patria la sua bella anima di eroe”. Celebrato il rito funebre (“Discesa che fu la bara nell’avello io ebbi l’onore di darle la prima terra”), Anaclerio fu chiamato dal Comandante di Brigata il quale volle conoscere ogni particolare sulla ricognizione eseguita. “Questi, dopo avermi ascoltato, mi ordinò di recarmi immediatamente così come ero, infangato ed intriso di sangue, a campo S.Maurizio dove il Poeta-Soldato mi venne a rilevare a bordo unitamente a Costanzo Ciano e Luigi Rizzo. Anche qui raccontai per filo e per segno l’andamento della missione; dopo di che D’Annunzio mi affidò un plico per la madre dell’Eroe e baciandomi mi dette segno di sé con un autografo così concepito: A Giovanni Anaclerio con molta riconoscenza. Gabriele D’Annunzio.” Successivamente Giovanni si recò ad Aquila, città natale di Andrea Bafile, per consegnare alla famiglia il messaggio di D’Annunzio e gli oggetti che il caduto aveva con sé, tra i quali la medaglietta della Madonna del Rosario di Pompei donatagli dalla madre quando era diciottenne. La madre ricevette la medaglietta con commozione e fino alla sua morte (avvenuta nel 1927) la tenne appesa al collo. Ancora nel febbraio 1925 l’Anaclerio riceverà in dono da alcuni ufficiali di Marina dell’Accademia Navale di Livorno un orologio d’oro recante all’interno la dedica ‘A Giovanni Anaclerio i compagni di Andrea Bafile’, con questa lettera di accompagnamento : L’affetto che lega i compagni alla memoria del Comandante Bafile non poteva dimenticare di esprimere la sua gratitudine al porta ordini che lo assistette fino all’ultimo momento, e che dimostrò la sua devozione e la sua fedeltà anche negli anni che seguirono al 1918.”

Italo Interesse

 

 

 


Pubblicato il 12 Dicembre 2012

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