Cronaca

Il futuro delle imprese e dei patrimoni

Oggi la Rubrica Economica del Quotidiano ha il piacere di avere come ospite Emilio Meneghella, Advisor ed autore del recente Codice delle leggi sulla internazionalizzazione d’impresa.

Quale apporto può dare un advisor affinché la protezione e la trasmissione della ricchezza vengano effettivamente realizzate?

Partirei da una premessa: anche al sol fine di scongiurare dissapori e liti giudiziarie tra familiari vale la pena di pianificare con attenzione la  trasmissione del proprio patrimonio: in Italia le cause ereditarie sono fra le più lunghe, costose e complesse del panorama giudiziale; la  normativa successoria   è estremamente articolata, spesso occorre avvalersi di consulenze tecniche e le parti coinvolte sono spesso numerose (secondo l’ISTAT la quota più elevata di soggetti coinvolti in processi civili si registra per i contenziosi che riguardano la famiglia: 40,5%). Inoltre a mio parere la legge italiana che regolamenta questi argomenti – risalente quasi per intero al 1942 – non sempre  riesce a risolvere le molteplici esigenze dei detentori  di ricchezza negli anni 2000.Per fornire consulenza efficace al fine di proteggere e di trasferire la ricchezza,  in alcuni casi, l’advisor non  può sottrarsi dal proporre al proprio cliente di considerare la adozione di soluzioni alternative rispetto a quelle più consuete, al fine di proteggere  adeguatamente la ricchezza da trasmettere e salvaguardare gli interessi tanto del cliente quanto dei beneficiari del trasferimento ed evitando che tra essi il fisco faccia la parte del leone. Ad esempio la realizzazione di una holding (italiana o estera) con funzione di “cassaforte di famiglia” permette di decidere con largo anticipo – e con scelte reversibili in ogni momento – quanto trasmettere a chi  e quando, imponendo nel contempo le future regole di gestione della stessa holding.

 

A partire da quale importo di patrimonio personale diventa necessario pianificare la protezione e la trasmissione della ricchezza?

 

Sulla base della mia esperienza professionale farei una distinzione netta: per il caso del passaggio generazionale delle imprese familiari – che nel 50% dei casi scompaiono con la seconda generazione – la pianificazione è d’obbligo sempre. In questa eventualità, ad esempio, il ricorso alla istituzione di un trust che detenga il capitale della impresa familiare da proteggere assolve ottimamente alla duplice funzione di protezione e di gestione secondo le regole  dettate dall’imprenditore al quale succederanno gli eredi designati.Per il caso, invece, del trasferimento di beni diversi dalle imprese è sufficiente la compresenza di non meno di due successori  e di valori da trasferire di qualsiasi importo: è fondamentale per chiunque intenda devolvere i propri beni, disporre consapevolmente del proprio patrimonio secondo le regole previste dalla legge e con la guida di un advisor indipendente.

 

 

Sempre di più si parla di internazionalizzazione di impresa, ma cosa realmente si fa nel concreto?

 

Effettivamente se ne parla sempre di più e non sempre a proposito e con cognizione di causa.  Nel concreto – invece – si fa molto poco: l’annuario Istat-Ice 2014 segnala un aumento di un misero 1,3% degli operatori all’esportazione nel 2013.  Eppure, internazionalizzarsi fa bene alla salute della impresa: aumenta il fatturato, riduce i costi di produzione, valorizza le risorse umane interne alla azienda, migliora la redditività. Quest’ultima è sempre  crescente al crescere dell’apertura internazionale dell’impresa: dal 18,7% delle non esportatrici passa al 22,9% per quelle che esportano meno del 5% della produzione fino a un massimo del 31,3% per le aziende che vendono all’estero oltre l’80% della produzione. In pratica, l’azienda che esporta sta meglio e guadagna quasi il doppio delle altre.Il nostro studio da sempre accompagna gli imprenditori in questo processo di apertura verso l’estero, non facile ma molto stimolante e portatore  di buoni risultati.

 

Qual è il primo che passo che deve fare un’impresa per guardare ai mercati esteri?

 

Potrà sembrare inusuale ma io consiglio sempre ai capitani di impresa che decidono di affrontare l’estero – per produrre o per vendere le proprie produzioni   – di individuare e formare una risorsa interna (nuova o preesistente nell’organigramma aziendale) alla quale delegare una parte cospicua delle attività sull’estero e per l’estero. In pratica, il mio consiglio è di farsi da parte, lasciando spazio per quello che alcuni amano chiamare l’export manager ma che in realtà è più semplicemente un dipendente con compiti di responsabilità sullo sviluppo di uno o più mercati esteri concordati con l’imprenditore. In seguito, e a distanza ravvicinata, veniamo interpellati noi advisor che disegniamo al fianco degli amministratori della azienda la struttura societaria, fiscale ed amministrativa  più efficiente possibile che dovrà vestire l’impresa divenuta “esportatore abituale”.

 

Alessandro Latorre

 

 

 

 

 

 

 


Pubblicato il 27 Febbraio 2018

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