Cultura e Spettacoli

Il lusso della parola

Crescono le intelligenze artificiali. Se già possono riconoscere la nostra voce e risparmiarci la noia di digitare su una tastiera, un domani che non si annuncia neanche così lontano potrebbero leggere nel pensiero. Allora basterà un microchip infilato a fior di pelle per comunicare con chiunque risparmiando la fatica della parola… Il futuro mette ansia. Potrebbe significare (anche) la morte fisica della parola. In qualche modo ci siamo già. Chi più manoscrive, a meno che non si tratti di firmare un contratto? Peraltro, quest’ultima barbarie sta per essere sostituita da un indice premuto su un sensore… Insomma, la parola ‘tradizionale’ si avvia a diventare merce rara, così rara da doverla comprare. Allora amaro a chi per miseria dovesse ritrovarsi in tasca non più di una manciata di parole… Tale apocalittico scenario, pur smorzato dai toni fiabeschi (il lavoro si rivolge ad un pubblico dagli otto anni in su), fa da sfondo alla storia di Philéas, Cybelle e Oscar, i giovanissimi protagonisti di ‘Il paese senza parole’, un libro per ragazzi di Agnès de Lestrade. Da questo pregevole racconto Roberto Anglisani, Marianna Batelli e Alessandro Rossi hanno tratto un testo teatrale. Per la regia di Roberto Anglisani e nell’allestimento di Rosso Teatro / Atelier Teatro Danza, ‘Il paese senza parole’ è stato in cartellone al Nuovo Abeliano. Una sostanziale malinconia – involontariamente acuita dalla precisione del disegno luci – intride questa messinscena, che l’ampiezza degli spazi  in cui viene messa in scena non attutisce. Una panchina è l’unico elemento scenografico intorno al quale si muove un’azione spoglia, anche nell’essenzialità del movimento coreografico, curato dalla Batelli. Ciò ispira un senso di vuoto il quale se da un lato mette in evidenza la violenza che un innominato Sistema esercita a danno di minori, dall’altro toglie energia all’encomiabile J’Accuse che striscia tra le righe. Marianna Batelli e Alessandro Rossi sono certamente freschi e ispirati, le musiche originali di Marcello Batelli suonano appropriate e alcuni tocchi poetici color pastello lasciano il segno qua e là, tanto però non basta a catturare, soprattutto la platea più verde al quale lo spettacolo è destinato. Il limite nasce dalla sostanziale solitudine dei personaggi in scena. Come strappati da una Terra a misura d’uomo e scaraventati su un asteroide freddo dove vige una Legge disumana, Philéas, Cybelle e Oscar sembrano naufraghi. Ciò raffredda la speranza, che pure è centrale al pensiero drammaturgico, col risultato di elevare un muro di cristallo intorno allo spettacolo, sì che questo, per quanto elegante e preciso, non riesce a trasmettere sufficiente calore.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 1 Marzo 2019

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