Cultura e Spettacoli

Il mistero del ritratto

 

Giacometta Beccarino, una fanciulla di Manfredonia, aveva  dieci anni quando i Turchi la rapirono dal convento delle Clarissse durante il saccheggio del 1620. Condotta a Costantinopoli, divenne in seguito la favorita del Gran Sultano Topkaki. Nonostante avesse abbracciato l’Islam, Giacometta non dimenticò mai le sorelle del suo ordine, alle quali, una volta divenuta Sultana, inviò un suo ritratto. Quel ritratto  ornerebbe la stanza del primo cittadino di Manfredonia. Il condizionale nasce da un  sospetto avanzato recentemente dal Prof. Tommaso Adabbo, studioso di storia dell’arte e pittore a sua volta. Adabbo sostiene che quell’olio è una copia realizzata a fine Ottocento da un pittore sconosciuto, mentre l’originale, a firma di Pier Francesco Del Cairo (1607-1665), è a Venezia presso la collezione privata della famiglia Ferruzzi, come confermato dall’inventario generale delle opere di Del Cairo compilato dal Brunori nel 1967 per la mostra antologica tenutasi a Varese presso i Musei civici di Villa Mirabello (l’opera s’intitola ‘Agar’, che è il nome di una schiava egiziana da cui Abramo ebbe Ismaele – Genesi, cap. 16 e 21). L’opera fa parte di una serie di ritratti che ritraggono giovinette dall’espressione triste e il capo coperto da un turbante. L’immagine anticipa lo stereotipo dell’odalisca, cioè della schiava vergine destinata a diventare sposa o concubina dei Sultani (nella seconda metà dell’Ottocento lo stesso stereotipo avrebbe perso il suo colore ‘polemico’ – l’aria afflitta – per assumere carattere marcatamente erotico e sviluppo a figura intera). Stando così le cose, che fine avrebbe fatto l’altro dipinto originale, quello realizzato da uno sconosciuto pittore di corte a Costantinopoli? E’ molto probabile che, trasmessa in condizioni via via più scadenti da una generazione all’altra di Clarisse, la tela sia arrivata a metà Ottocento in condizioni impresentabili. A quel punto una Madre Superiora sensibile all’arte e al patrimonio del monastero, potrebbe averne commissionata una copia. Ma se la tela era malridotta dall’umido e dalla polvere, come imitare il ritratto della Beccarino? La soluzione più pratica era procurarsi un dipinto somigliante. All’epoca, nel sottobosco dei talenti del pennello si muoveva uno stuolo di pittori di buona tecnica ma a digiuno di spirito creativo. Come tali, costoro più che imitare non potevano, tant’è che evitavano di firmare i propri lavori. Non di meno le loro tele avevano buon mercato, non essendo pochi i committenti che a prezzo ragionevole ambivano ad ornare palazzi e anche chiese con lavori sullo stile di Caravaggio, Tiziano o Veronese. Qualche mercante d’arte, esaminati i resti del ritratto della Beccarino, dovette assicurare la Badessa: “Appena di ritorno dal prossimo viaggio sarà nostra premura sottoporre all’attenzione della Madre Reverendissima una serie di ritratti tra cui Ella potrà individuare quello che riterrà più confacente”. Andò così? Chissà a che prezzo il monastero si assicurò quella copia di un imitatore rimasto senza nome di Del Cairo. E chissà quanti i pezzi in selezione. E la tela originale? Nel fuoco. Anche quando si tratta di cose marginali, la riscrittura della Storia parte sempre dalla distruzione di ogni prova. – Nell’immagine il presunto ritratto della Giacometta.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 4 Gennaio 2017

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