Il Monaco che non convince
Il menhir che svetta a 3,70 m. al Km 79,455 della Strada Statale 98 che da Bari conduce a Bitonto continua a dividere gli studiosi. C’è chi ritiene sia di origine tardo romano o alto medioevale. Esso sarebbe uno dei tanti ceppi posti per segnare il confine tra il territorio di Bari e quello di Bitonto lungo le linee di demarcazione poderale, ceppi che ripetutamente furono spostati nel corso delle contese territoriali. Ma chi avrebbe spostato anche di soli cento passi un colosso come quello? Hanno dunque ragione quelli che fanno retrocedere l’origine della nostra pietrafitta al periodo preistorico. Tanto meno si può vedere in essa un cippo confinario dell’età della pietra. Le tribù della preistoria, anche quando divenute stanziali, non potevano aver sviluppato un senso del territorio così definito da giustificare lo sforzo congiunto del centinaio di uomini necessario a posizionare un colosso di quelle dimensioni in un determinato punto, magari lontanissimo dal sito di origine della pietra. I menhir avevano funzioni ben più nobili di quella che poteva essere svolta da un macigno o da un cumulo di massi. Quei monoliti erano invece preposti alla segnalazione di zone ritenute sacre, come necropoli o aree rituali. Sbrigliando la fantasia si può pensare ad un menhir come a un gigantesco indice. Un dito puntato verso l’alto, in direzione di una determinata costellazione. Oppure un dito puntato verso il basso, a segnalare la diversità geomagnetica di un sito, che per effetto di questa particolarità si prestava meglio d’ogni altro a sogni profetici, guarigioni, vaticini, sacrifici… Un orologio solare? L’ipotesi è sensata. Ma proviamo a battere altre strade. Il menhir di Modugno è chiamato ‘Il Monaco’ per via di vaghissime sembianze umane, ravvisabili nella parte terminale, dove un’escrescenza rocciosa fa pensare al cappuccio di un saio. Giudicando il manufatto da altra prospettiva, esattamente quella della foto, viene da pensare a tutt’altro. Questa ‘pietrafitta’ si presenta lavorata. Un feticcio, allora, una rozza scultura intorno a cui raccogliersi per dare vita al più antico dei rituali, quello della fertilità… E quale fertilità, quella dei campi? Viene il sospetto che l’auspicata fertilità in oggetto sia invece in relazione alla sfera sessuale. Il menhir di Modugno, allora, monumento fallico? A farlo credere è la ‘sospetta’ parte terminale, questa cuspide ‘fungacea’, questa ‘turgida’ escrescenza che senza tirare troppo le cose per i capelli come nel caso del ‘monaco’ richiama l’idea dell’inseminazione… Forse ai piedi della pietrafitta di Modugno s’inginocchiavano giovani spose invocando la fortuna di una folta nidiata. L’idea non appare volgare.
Italo Interesse
Pubblicato il 28 Ottobre 2017