Cultura e Spettacoli

Il non-Paese. Moro, la morte inutile

Immune allo scorrere del tempo, anzi rinvigorito dallo stesso, il caso Moro continua a sedurre. Già motivo di spunto per r una quantità di saggi e film, questo ‘affaire’ scomodissimo che ha fatto da spartiacque a Italie diverse, non poteva non fare gola al mondo del teatro. Ora ci provano Giovanni Gentile e Barbara Grilli (compagnia Teatro Prisma), il primo autore e regista, la seconda interprete di ‘Chi ha paura di Aldo Moro’. Lo spettacolo, da avantieri in cartellone al Duse, vi resterà sino al 18 giugno. Gentile mette a punto una complessa formula ricostruttiva che, impiegando gli stilemi del teatro di narrazione, occhieggia a collaudati format televisivi : Una ‘conduttrice’ espone fatti chiamando in causa ora questo, ora quel personaggio, di cui di volta in volta indossa i panni. In un clima di grande trasformismo sfila un popolo di brigatisti, poliziotti, politici e gente comune (insomma tutti meno che Moro). La massa di contributi è imponente, ma il risultato rimane lo stesso : Non si saprà mai come andarono le cose. Unica certezza : tutti ebbero paura di Moro (vivo). Così stando, le cose non potevano avere epilogo diverso. ‘Chi ha paura di Aldo Moro’ mette in luce una scrittura puntigliosa che si traduce in un drammatico, torrente verbale a più voci. Gentile mette alla frusta la brava Barbara Grilli, che chiama a un assillante – e talora anche controproducente – esercizio di mutazione. L’interprete dà fondo a tutta la sua non infinita duttilità rispondendo alla sfida con una performance di raro slancio. Essenziale la scena, composta da pannelli rossi che per tutta la durata dello spettacolo vengono rimodulati come in cerca della soluzione a un rompicapo. L’enigma si scioglie nel finale quando questi moduli color sangue si raccolgono nella composizione di un recinto lungo e stretto, riproduzione della famosa ‘prigione del popolo’ nella quale Moro languì per cinquantacinque giorni o, volendo, di un comune cofano mortuario. Costumi così così, musiche adeguate. Degna di nota l’originalità della locandina. Lunghi e caldi applausi hanno salutato una Grilli stremata. Nel complesso, uno spettacolo che comunque prende. Merito anche di una vicenda che smetterebbe di esercitare il suo fascino se le si potesse apporre la parola fine. Ma così fosse, non parleremmo più d’Italia e di italiani. Più che il riflesso di un preciso segmento storico, il caso Moro è lo specchio di un non-paese e di un anti-popolo. Ripercorrendo gli ultimi 166 anni è facile inciampare in pagine di storie che, ancora impregnate di dubbi, alimentano questo senso frustrante d’immaturità : l’impresa dei Mille, lo scandalo della Banca Romana, l’assassinio Matteotti o, più di recente, il fallito golpe Borghese. Pur incompleta, la pagina-Moro, conferma con quelle che la precedono (e che purtroppo seguono e seguiranno) questa idiosincrasia della Storia a consacrare una Nazione e un popolo. Forse aveva ragione il Metternich, il cancelliere austriaco, per il quale all’espressione Italia corrispondeva non più che “un’espressione geografica”.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 2 Giugno 2017

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