Cultura e Spettacoli

Il poeta, la poesia e la bellezza

 

“E subito riprende /Il viaggio /Come /Dopo il naufragio /Un superstite /Lupo di mare.”(Allegria di naufragi di Giuseppe Ungaretti).”Lupo di mare”, classica figura di marinaio dell’antica marina velica, abituato alla vita dura del mare, ai pericoli e alla lunghe navigazioni. Se a “Lupo di mare” Sostituissimo non l’uomo, il vivente, come altri miliardi di “animalia”, di esseri animati (ad esempio: un cavallo, una rosa), ma l’Uomo – Poeta che Naviga nel “gran mare dell’essere”, non Amplificheremmo il Senso della Poesia di Ungaretti, dalla quale Egli ha Tolto, Eliminato l’”inutile e il vano”, ché dalla sconvolgente  Concisione di Essa i  suoi Lettori Cogliessero, rapidamente, il nucleo del suo Pensiero ? La medesima Operazione di Sottrazione (Il Poeta è un Sottrattore ma, anche, un Seduttore, se in Latino “se ducere” significa: sottrarre al di fuori di sé) Appartiene a Montale, quando nella Conclusione della sua Poesia “Non chiederci la parola” Scrive: ”Codesto solo oggi possiamo dirti /ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Per Comprendere la vera, autentica natura dell’Essere, dobbiamo Rifarci a Heidegger, per il quale l’Essere non è una ”presenza trascendentale” preesistente alla concreta esistenza degli uomini, ma occorre indagare la condizione dell’ ”Esserci”, del “Dasein”. Il termine “da” in tedesco, sta ad indicare uno spazio ideale a metà strada tra l’immediatezza del “qui” e la distanza propria del “lì”.”Esserci”, quindi, laddove “ci” non sta ad indicare una mera localizzazione spaziale, ma qualcosa di più ambiguo e complesso, ovvero il modo in cui, concretamente, fenomenologicamente, l’Essere si dà nella Storia, nella Esistenza dell’Uomo, NOI Aggiungiamo, del Poeta. Ché tutta la nostra “Lectio” non Riguarda i miliardi di plebei, papini e mammine, che con la loro accidia, con il loro inabissarsi nelle più becere chiusure hanno permesso, permettono che la Storia si sia trasformata, si trasformi, si trasformerà in un fiume di sangue. Miliardi di plebei che, come gli altri animali, non dispongono di un Linguaggio, perché non sono in grado di farsi Disporre da Esso, non essendo il Linguaggio un’attività dell’uomo. L’Uomo Partecipa al Linguaggio nella misura in cui Ascolta ciò che Gli viene Detto e vi “Cor – Risponde” con la Parola. Il Linguaggio è il modo di DispiegarSi dell’Essere. L’uomo e l’animale non sono aperti ad Esso (ci sono infiniti modi di chiudersi in qualcosa di istintivo, di destinato, Diremmo, o di ideologico, culturale o, peggio, sottoculturale). Ma l’Uomo – Poeta Sa LiberarSi  dalle sue prigioni, dalle sue secolari catene, Tendendo, quindi, alla Libertà; l’animale, “contra”, o i miliardi di uomini, solo, animali sono avvolti nel loro stordimento, senza esserne capaci di svegliarsi, senza avere la consapevolezza della necessità di svegliarsi. Ma cos’è in concreto il “Dasein”, l’ ”Esserci”, ovvero l’Esistenza stessa degli Uomini ? Per Heidegger la Peculiarità della Vita degli Uomini (NOI Precisiamo dei Poeti) è Quella di PrestarSi alla “Possibilità” e al ”Progetto”. “Esistere” (dal Lat.: “ex”, da, fuori – “sistere”, porsi. stare, fermarsi. Quindi, uscire, levarsi dalla terra, apparire, esistere) non è più il “permanere”, ma, costantemente, l’andare oltre il “permanere”, verso la possibilità aperta, verso la novità degli accadimenti che consentono all’esistenza di mutare nel corso del tempo (“”Essere e Tempo”  è il Capolavoro di Heidegger). Esistere per l’ Uomo – Poeta è, quindi, il DispiegarSi, sempre, verso una nuova Sistemazione della mondana Realtà e della sua Particolare. Il Poeta Lotta contro ogni oppressione: quella dell’uomo sull’uomo; quella sul suo Pensiero da parte dei dogmi religiosi, filosofici, sociali. Egli Lotta perché l’uomo Raggiunga la Conoscenza, sempre, perfettibile di sé e dell’universo, “Tamen”, Egli non mette la sua Poesia al servizio di un’azione politica, sia pure, rivoluzionaria. Il suo “Essere Rivoluzionario” è Inscritto nel suo “Essere Poeta”, cui Compete il Lottare sul terreno della Poesia con i mezzi che Le sono propri; su quello dell’Azione Sociale senza, mai, confondere i due campi per non rischiare di finire di “Essere Poeta”, per vestire i panni del rivoluzionario. Da quanto, finora, abbiamo detto, i nostri 25 Lettori  potranno SpiegarSi la Motivazione dell’ ”Incipit” del nostro Elzeviro col quale abbiamo Ricordato la Poesia di Ungaretti in cui si Accenna al “Viaggio”. Per i Poeti, che Esistono, “non permanendo”, il “Viaggio”, il “Viaggiare” è la Condizione Totalizzante della loro Vita. Allora, la Biografia di Dante e la sua Poesia, che Si Fa Realtà Ontologica della sua Aspirazione alla Visione, Conoscenza di Dio, partendo dal suo errare qua e là senza direzione nell’errore intellettuale, nell’ottenebramento della Ragione e nel peccato, è Speculare di ciò che, poco sopra, abbiamo Argomentato. ”A te convien tenere altro viaggio, / rispose poi che lacrimar mi vide, /se vuoi campar d’esto loco selvaggio;…/ Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno / che tu mi segui; ed io sarò tua guida, /e trarrotti di qui per lo loco eterno…”. Come i miei 25 Lettori Sanno, Virgilio, dopo essere Apparso a Dante, Gli Prospetta le tappe, la “stazioni” del viaggio, che dovrà Compiere, di Redenzione dal peccato e dall’errore, fino a Realizzare il Fine Supremo del suo ”non permanere”: Salire alle “beate genti” e ,  oltrepassati, per effetto della folgorazione, i limiti naturali dell’Anima Umana, alla Intuizione di Dio. Intuizione, che è anch’Essa un Viaggio, per Inseguire le innumeri Possibilità di Conoscenza, ed è una Parola che Deriva dal Latino “intus” e “ire”, cioè Andare in profondità, oltre il confine del visibile, del percettibile, del razionale. Il Poeta è l’Uomo, maggiormente, Incline a Intuire. Cos’Altro Poteva, Può Essere Dio, se non Indicibile, Ineffabile Razionalità, di Amore Sostanziata, che Concedeva, Concede al Sole e alle stelle di MuoverSi senza quella conflittualità dannosa, disastrosa in cui erano, sono costretti a convivere gli omuncoli, specie quelli serrati in irrazionali istituzioni, quali la famiglia, lo stato, il clan, la setta religiosa che rinfocolavano, rinfocolano in loro gli egoismi più cruenti, impedimenti principi alla piena, solidale, fraterna Esteriorizzazione degli  uni verso gli altri ?  Dio, quindi, Poteva, Può essere  Intuito, come “l’amor che move il sole e la altre stelle” e, precipuamente, dal Poeta, per Mallarmé: ”adorarateur du beau (e del Buono, Aggiungiamo NOI) inaccessibile” alle masse volgari, in quanto, Continua Mallarmé,  l’uomo comune, il borghese, piccoloborghese, proletario, può essere democratico, ma l’Artista deve essere Aristocratico, non perché da magnanimi lombi discendente, “sed” per la Forza Drammatica delle sue Conquistate Qualità Intellettuali, della Estetica Raffinatezza dei suoi Pensieri, della sua Scrittura o dei suoi Tocchi di pennello o di scalpello o di bulino, che Riempiono i Trattati di Etica e di Estetica, non rientranti nelle acquisizioni cerebrali degli “alieni” (da “alius”, altro, estraneo all’Umanità Ideale dell’Uomo), di cui sopra. Seguiamo, ora, il “non permanere” di Dante dal punto di vista della sua Produzione Poetica, Letteraria, Scientifica; delle sue Posizioni Politiche, del suo assaporare umiliante “lo pane altrui”, dopo essere stato condannato in contumacia all’esilio. Fin da Giovane, Dante S’Impegnò nella Ricerca (che è anch’Essa un “non permanere”) della Verità. Ispirato da Guinizzelli e da Cavalcanti, del quale Si fece Amicissimo, Compose Rime di Spessore Stilnovistico per Beatrice. La morte di Beatrice, pur gettando Dante in una profonda angoscia, Lo Spinse, nonostante tutto, a Compendiare nella “Vita nova” (Raccolta di Rime morali e allegoriche) la Storia del suo Amore per Beatrice, cioè la Storia Spirituale della sua Giovinezza. Fu nel 1289 coraggioso Milite nella battaglia di campaldino. La sua Carriera politica culminò nella sua ascesa nel 1300 al Priorato comunale di Firenze. Firenze era dilaniata dalla discordia fra due fazioni guelfe: i Bianchi, più accetti al popolo e i neri, più vicini alla classe nobiliare. Nel contrasto fra le due fazioni si mescolavano interessi economici e odi privati, cupidigie e ambizioni personali. Dante Condivise in maniera sempre più decisa la linea politica seguita dai Bianchi. Nell’ ottobre del 1301, mentre Dante era a Roma in ambasceria, per conto di Firenze, dal papa Bonifacio VIII, la fazione dei neri, con a capo corso donati, conquistò il potere in Firenze con processi sommari e condanne di avversari politici. Dante, per varie, false accuse, fu condannato in contumacia all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ad una multa e all’esilio per due anni. Non essendosi presentato a discolparsi, fu condannato ad essere bruciato vivo, se fosse caduto nelle mani dei suoi persecutori. Mise in atto con altri fuorusciti tentativi di rientrare in Firenze con la forza ma, disgustato dalla partigianeria dei suoi compagni di sventura, fece parte per se stesso e più non rientrò in Firenze, non da Vivo, né da Morto. Durante l’esilio, oltre  ad essere proteso, affannosamente, incalzato dalla povertà, ad una sistemazione come uomo di corte, Scrisse due Trattati Scientifici, rimasti incompiuti: il “De vulgari eloquentia” per Celebrare le enormi possibilità del Volgare Italiano di assumere i caratteri di Lingua Letteraria perché la Verità, pur velata nella o dalla Poesia, potesse essere Fruita da un pubblico più vasto, ignaro della Lingua Latina nella quale si scrivevano le opere letterarie e scientifiche. Il “Monàrchia” con il quale il Poeta volle Intervenire sulla “vexata quaestio” della sua epoca: il rapporto tra l’autorità laica (rappresentata dall’imperatore) e l’autorità religiosa (rappresentata dal papa), Affermando che i “due soli” per il Bene dell’Umanità, finalmente in Pace, avrebbero dovuto collaborare solidarmente senza invasioni di campo da parte dell’una o dell’altra autorità. L’esilio Allontanava Dante da ogni considerazione municipalistica e Lo Sollecitava ad Ampliare il suo Sguardo e i suoi Interessi Etici e Politici da Firenze all’Italia e al Mondo e, per le sofferenze , le umiliazioni che comportava, Gli dava il Diritto di Parlare agli uomini, di Guidarli alla Riconquista della Giustizia, della Verità, della Pace. Da questa Vocazione Profetica e Riformatrice Nasce la Divina Commedia. Ma, anche, l’identità di ognuno di noi è liquida “non permane” e Pirandello in “Uno, nessuno e centomila” Cala nel personaggio di Vitangelo Moscarda la sua  Consapevolezza che il Poeta (Egli fu Grande Poeta, Scrittore, Artista), al quale è stato dato il Linguaggio, Creando e Distruggendo, Testimonia, Parafrasando Heidegger, ciò che Egli è. Come Tale, quindi, è il fondamentale Testimone di ciò che Egli è, Testimonia il suo “Esserci” ed è il Fondamento stesso dell’ ”Esserci” in cui Si Contestualizza. Un giorno, Vitangelo Moscarda, in seguito all’osservazione da parte della moglie la quale gli dice che il suo naso è, leggermente, storto, inizia ad avere una crisi di identità, a rendersi conto che le persone intorno a lui hanno un ‘immagine della sua persona, completamente, diversa dalla sua. Da quel momento l’Obiettivo di Vitangelo sarà quello di Scoprire chi è  egli, veramente. Vitangelo Arriverà alla Follia che, però, lo farà Sentire Libero da  ogni regola, e lo Porterà a Vedere il mondo da un’altra Prospettiva, per concludere che per uscire dalla prigione in cui la vita rinchiude, non basta cambiare nome: proprio perché la vita è una continua evoluzione, il nome rappresenta la morte. Dunque, l’ unico modo per Vivere in ogni istante è Vivere attimo per attimo la vita, Rinascendo, continuamente, in modo diverso.”La vita non conclude. E non sa di nomi la vita. Quest’albero respiro tremulo di foglie nuove. Sono quest’albero. Albero, nuvola, domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo., tutto fuori, vagabondo.”. E la Poesia ? G. Bataille Proclama: ”La  poesia apre una finestra sul silenzio”. Ecco ”La sera del dì di festa” di G. Leaopardi: ”Dolce e chiara è la notte e senza vento, /e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti /posa la luna, e di lontan rivela /serena ogni montagna. O donna mia, /già tace ogni sentiero, e pei balconi /rara traluce la notturna lampa: /tu dormi, ché t’accolse agevol sonno /nelle tue chete stanze, e non ti morde /cura nessuna; e già non sai né pensi  quanta piaga m’apristi in mezzo al petto”. Plutarco, Citando Simonide, Afferma ”La pittura è poesia muta, la poesia è pittura sonora”. Ebbene, i Versi 1 – 10 di questo Idillio non imitano la realtà, “sed” sono essi la Realtà. Giacomo Afferra la loro “insensatezza”, dovuta al loro interminato dilatarSi nello Spazio di pace, di dolcezza, di silenzio infinitì e, attraverso la Bellezza, risale al loro Significato. Il Poeta “Ascolta” il silenzio in cui è immersa la Natura prima di FarSi un Dire, nel senso di Esprimere, di Ri-Dire con Commozione ciò che Vede. E’ un silenzio assoluto in cui la Natura appare immobile, sembra che non voglia neanche respirare, non servendoSi dell’afflato del vento e, indifferente, con la Luna Si Ammaina: sui tetti al cui interno si dischiudono sofferenze inesprimibili; sugli orti, sempre, gravati dalla fatica, altrettanto, inesprimibile e dalle preoccupazioni immedicabili che Essa dà all’agricola. Tu, o Donna, Le Contesta il Poeta, o Padrona di tante Esistenze, alle quali elargisci affanni, delusioni, dopo averLe illuse, t’addormenti, facilmente, in una pace serena, non da tormenti turbata, mentre con la Grazia del tuo ManifestarTi SusciTi in Me un inappagato Bisogno di Corrispondenza dì Amore. Flaubert Dice che la Poesia è una Scienza esatta, come la Geometria. In un Testo Poetico nulla può essere cambiato. Alla elasticità del “significato” si oppone la massima rigidità del “significante” (l’elemento formale, fonico e grafico).”Chiare, fresche et dolci acque, /ove le belle membra /pose colei che sola a me par donna;”. Gli aggettivi non possono essere cambiati: ad es., i suoni di limpide e lucenti non hanno la medesima valenza fonosimbolica di “chiare”, non hanno le medesime implicazioni connotative. La Poesia, Deve QualificarSi in termini di Esattezza, non di vaghezza, se si vuole TeleologizzarLa ad Ascendere nell’Empireo della Bellezza, che è Qualcosa di Assoluto, Presente in ogni Entità Vivente o non Vivente; Partecipa di ogni elemento costitutivo del Cosmo, e, laddove Si Rivela, ha Natura indeterminata, inafferrabile; SI Sottrae ad ogni tentativo razionale che cerchi di catturarLa, di circoscriverLa, modificarLa, SpiegarLa. Per Nietzsche in “Umano, troppo umano”: ”La più  nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti…, ma che s’insinua lentamente, che quasi inavvertitamente…ci si ritrova davanti in un sogno; che alla fine, dopo aver a lungo con modestia giaciuto nel nostro cuore, si impossessa completamente di noi e ci riempie gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia”.

 

 

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano

pietroaretino38@alice.it

 


Pubblicato il 7 Luglio 2015

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio