Cultura e Spettacoli

Il ponte dei forzati

Quando le Tremiti fungevano da colonia penale, i Borbone vi fecero costruire due ponti in legno che collegavano San Nicola al Cretaccio e quest’ultimo scoglio a San Domino. Non sottoposte a regolari interventi di manutenzione, le due strutture furono spazzate via dalle mareggiate; ne sopravvive qualche traccia sui fondali, come testimoniato da più di un sub. L’ardito collegamento rispondeva alle esigenze di una comunità che tra detenuti, personale di guardia e gli abitanti dell’arcipelago superava le cinquecento persone. L’opera, per quel tempo grandiosa, dovette costare una fortuna. Quali le ragioni di tanta spesa? La risposta è nell’ipotesi che le Tremiti rappresentassero per il governo di Napoli una significativa fonte d’entrata. Alle Tremiti non mancava il luogo di reclusione (a ciò era preposta l’antica fortezza di San Nicola), non di meno la maggior parte dei detenuti viveva in regime di semi libertà. Come in tutte le colonie penali i meritevoli per buona condotta avevano a disposizione piccoli appezzamenti di terreno con relativo alloggio. Muniti anche degli attrezzi del mestiere, essi potevano coltivavano la terra o sfruttarne lo spazio per allevare animali. Il ricavato andava interamente allo Stato, mentre il deportato veniva compensato con cinque grana al giorno per i primi tre anni, oltre al vitto. Ciò comportava uno così intenso spostamento di uomini e cose tra San Domino e San Nicola che nemmeno il meglio organizzato servizio di barche-navetta poteva soddisfare, sopratutto col mare agitato. Poiché la distanza fra le due isole escludeva la possibilità di un collegamento diretto fra le due isole, almeno per la tecnologia del tempo, si optò per un ponte a due segmenti e sviluppato per complessivi cinquecento metri che faceva dell’equidistante scoglio di Cretaccio lo snodo di sistema. Di quei due ponti, si è detto, non restano che pochi frammenti sul fondale. Alcuni anni fa, tuttavia, si è cominciato e con preoccupante insistenza a parlare di ripristino di quella via di comunicazione. A tale proposito esistere un progetto firmato da un ingegnere di Manfredonia che prevede una struttura in legno lamellare estesa per 550 metri e a bassissimo impatto ambientale, presentando caratteristiche ‘retrattili’ (ovvero, in qualunque momento l’opera può essere scomposta e ricomposta). Il progetto prevede lungo il percorso la presenza di box turistici, panchine, una pista ciclabile, una pedonale, una corsia per motocarri elettrici… E’ dal 2015 che non se ne sente più parlare.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 24 Ottobre 2020

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