Cultura e Spettacoli

Il rimedio peggiore della malattia

 
 
Nel 1910 una tavola di Achille Beltrame posta in prima pagina a La Domenica del Corriere mostrava una turba di scalmanati intenti a distruggere a colpi d’ascia materiali trasportati da un carro. Un breve commento a piè di pagina tacciava di ignoranza e arretratezza “medievale” il popolo protagonista del gesto. Poveri molfettesi, quale disonore vedersi portati in quel modo alla ribalta della cronache nazionali. Cos’era successo? A Molfetta era arrivato il colera, che quell’anno stava mietendo vittime un po’ in tutto il Mezzogiorno. Il  carro in questione, usato dal Presidio Locale della Croce Rossa per le disinfezioni, era stato gettato nelle acque del porto da un gruppo di persone – in prevalenza donne – esasperate. Ma i molfettesi avevano le loro ragioni : i metodi usati dalla CRI si erano rivelati devastanti. Un particolare prodotto impiegato per disinfettare le abitazioni, spruzzato indiscriminatamente su mobili e arredi aveva rovinato o reso inservibile ogni cosa (quando si dice: il rimedio peggiore della malattia). Inoltre l’Autorità Sanitaria aveva interdetto il consumo di pesce crudo, frutta e verdura, nonché l’utilizzo dell’acqua marina nella panificazione a domicilio. Gaetano Salvemini denunciò il caso in ‘I tumulti di Molfetta’, un articolo apparso su ‘La Voce’ del 20 ottobre dello stesso anno, articolo nel quale si asseriva che misure così drastiche equivalevano a togliere “dalla mattina alla mattina i mezzi per guadagnarsi la vita a circa mille famiglie”. Quello del grande meridionalista fu un generale J’Accuse contro l’inefficienza dell’amministrazione locale allora capeggiata da un sindaco repubblicano (perciò doppiamente inviso a Salvemini). La denuncia risparmiò solo un medico, Eduardo Germano, che per 110 giorni si prodigò all’interno del lazzaretto di Molfetta raggiungendo una percentuale di guarigioni nettamente superiore a quelle registrate negli altri centri colpiti dall’epidemia. Questa ‘eccezione’, unita alle pubbliche testimonianze di stima rivolta a Germano dalla popolazione, accrebbe il rancore di una screditata Croce Rossa. In un rapporto rivolto all’Ispettore Generale della Sanità Ravicini, il massimo rappresentante locale della Croce Rossa – il Cap. Fiore – denunciò Germano di non aver denunciato tre decessi. Ma si trattava di una “non determinante inesattezza burocratica”, concluse la Commissione incaricata di giudicare il medico molfettese, il quale più in là, quando il colera toccò anche Foggia, venne chiamato a portare là la sua esperienza. A epidemia soffocata, per effetto di una pubblica sottoscrizione, le città di Molfetta e Foggia conferirono a Eduardo Germano una medaglia d’oro, cui si aggiunse quella d’argento dei ‘Benemeriti della salute pubblica’ conferita dal Ministero degli Interni.
 
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Pubblicato il 4 Novembre 2011

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