Il romanzo di Donatella Di Pietrantonio all’IISS “Marco Polo”
Continuano all’IISS “Marco Polo” gli incontri con l’autore nell’ambito del progetto lettura coadiuvato dalle docenti Francesca Tritto e Rosaria Catacchio.Sono occasioni molto importanti, durante le quali i ragazzi riscoprono il piacere della lettura e di un confronto costruttivo con gli scrittori dei diversi romanzi loro proposti.Tali incontri, inoltre, costituiscono l’occasione per trattare in un ambiente “assistito e protetto” argomenti delicati come quelli che si colgono all’interno dell’Arminuta.L’Arminuta, cioè la “ritornata”, è una ragazzina alle soglie dell’adolescenza che si ritrova all’improvviso orfana di due famiglie, a vivere e ad essere travolta dalla difficoltà di costruirsi una sua identità nel momento in cui viene restituita alla famiglia di cui non sapeva di far parte.È un libro sorprendente che affronta temi delicati: la maternità non esercitata fino in fondo, il tema dell’abbandono di una ragazza che si vede restituita a 13 anni, una ragazza che si sente orfana di due madri che ci sono ancora, ma non sono affatto “presenti” nella sua vita.L’autrice ambienta il suo romanzo nella terra d’Abruzzo, quell’Abruzzo agreste degli anni Settanta, dove la miseria amplifica la fame e la povertà, una terra in cui si verificano situazioni che sembrano assurde, come la cessione di un figlio perché erano tanti quelli che nascevano all’interno di famiglie troppo povere.
La scrittrice e il romanzo vengono “ presentati” dagli alunni attraverso le loro domande. Donatella Di Pietrantonio è ben contenta di non dover prender parte ad una conferenza passiva, ma ad uno scambio di idee che consente una migliore “lettura ed interpretazione” della sua opera.
L’Arminuta si ritrova a vivere una sorta di punizione sociale. Viene catapultata in una nuova realtà. Come può adattarsi una ragazzina così piccola ad una nuova situazione così grande?
“L’adattamento a cui viene chiamata la protagonista del romanzo è quasi impossibile. Arminuta dopo 13 anni di “non detto” viene a sapere che lei non è la figlia legittima di quelli che crede i suoi genitori e che deve ritornare da coloro che le hanno dati i natali. È un adattamento forte e la protagonista deve solo sopravvivere e riesce a farlo grazie all’aiuto della sorella più piccola, quella che l’accoglie sulla soglia della porta”.
Nel romanzo la protagonista non è mai chiamata con il suo nome. Da cosa deriva la sua scelta?
“L’Arminuta non ha un nome e io non l’ho mai immaginato perché credo che il soprannome sintetizzi al meglio la situazione in cui ella si vede catapultata. È un soprannome che le vien dato dai nuovi compagni di scuola che scorgono in lei caratteristiche differenti dalle loro”.
Quanto può influire per una ragazza “vedersi respinta” per ben due volte?
“È un evento devastante che fa perdere tutti i punti di riferimento. Se non si conosce più qual è la propria famiglia diventa difficile anche curare il proprio processo di crescita. Le si ritrovai ad avere due madri ma in realtà non ne ha nessuna”.
Perché lei dà maggiore importanza alla figura della madre e non a quella del padre?
“È vero che non do la stessa importanza alle due figure perché ritengo che sia solo la mamma a prendersi cura del bambino nelle prime fasi della sua vita, continuando un processo già iniziato durante la vita intrauterina. Dopo la nascita viene reciso fisicamente il cordone ombelicale, ma solo fisicamente. Il bambino resta dipendete dalla figura materna per molto tempo ancora. C’è una dipendenza generata non solo dalle cure materiali. Ma è una simbiosi che dura per molto tempo. Questo legame è assolutamente necessario non solo per la sopravvivenza fisica, ma anche per la formazione psicologica. Solo nelle fasi successive interviene anche la figura paterna che diviene poi altrettanto importante”.
La madre biologica è stata presentata come una donna fredda. Per quale motivo non mostra felicità per il ritorno di sua figlia
“Ci troviamo di fronte ad una famiglia povera anche nell’utilizzo della parola e questo limita la comunicazione dell’affettività. Questa madre è anche deprivata di una comunicazione gestuale adeguata e questo la fa apparire fredda. In realtà ella ha paura e appare quasi paralizzata sulla sedia quando scorge la ragazzina”.
I rapporti con i “nuovi” fratelli a volte appaiono problematici. Perché?
“Se per l’Arminuta è uno shock essere restituita, anche la nuova famiglia si ritrova ad affrontare una situazione difficile. La ragazza viene percepita dai fratelli differente rispetto a loro. Con il suo arrivo essi vengono improvvisamente messi a confronto con una realtà differente, con una persona che tranne i semplici caratteri somatici, non ha nulla in comune con loro. Il suo arrivo provoca pertanto un forte disagio all’interno del sistema-famiglia”.
A quale delle due madri l’Arminuta pensa di appartenere di più?
“Per poter sopravvivere alla restituzione che rappresenta un secondo abbandono, l’Arminuta costruisce un sorta di favola intorno alla madre adottiva che trasforma in una specie di santa, una sorta di martire restando profondamente legata a lei per molto tempo. L’altra donna la chiama “la madre” quasi a voler sottolineare che è la madre degli altri. Nel corso del tempo questo legame tende a cambiare e comincia a chiamarla mia madre mentre in modo parallelo comincia a togliere la mamma adottiva dal piedistallo sul quale l’aveva collocata. La parola mamma però scompare per sempre dal suo vocabolario”.
Nella descrizione di quale personaggio lei ha colto maggiore difficoltà?
“La difficoltà maggiore che ho incontrato è stata quella di raccontare la madre adottiva, perché quella biologica è una persona vinta, schiacciata dal peso di una vita che gli è capitata in sorte.
L’altra è più difficile da accettare, da comprendere e il suo gesto della restituzione non si può affatto comprendere e giustificare. Non si riesce a comprendere come una madre possa restituire dopo 13 anni una figlia da lei stessa scelta. È questa madre che ho avuto maggiori difficoltà a descrivere, quasi contravvenendo alla mia idea di non giudicare né schiacciare mai un mio personaggio, tanto da vedermi costretta a riscrivere il finale della mia opera”.
Il romanzo è pertanto una storia commovente, dura, dolorosa e triste. Tuttavia, in questa sofferenza è bello riscoprire la “resilienza” della protagonista che trova la forza per sopportare e per andare avanti, resilienza che diventa un messaggio positivo per tutti.
Marina Basile
Pubblicato il 16 Gennaio 2018