Il Sindaco ha dimenticato la Multiservizi e l’operario morto suicida
Sono trascorsi quindici, terribili e lunghi mesi da quando un operaio della Bari-Multiservizi SpA ha deciso di togliersi la vita, gettandosi da una finestra dello stabile dove stava svolgendo il suo servizio, in Via Giulio Petroni. Eppure ne sono bastati appena dodici perché i vertici dell’amministrazione municipale rappresentata da Michele Emiliano e dall’assessore alle Aziende Alfonsino Pisicchio, lo dimenticassero Enzo Pavone, visto che alla funzione religiosa celebrata a Triggiano in sua memoria, il 25 giugno scorso, non ce n’era neppure uno che avesse deciso di parteciparvi. A rappresentare, appunto, il Comune di Bari. Eppure era stato proprio il sindaco Michele Emiliano ad accorrere sul posto dopo l’insano gesto del povero Enzo Pavone, a promettere ai suoi parenti che la sua porta sarebbe stata sempre aperta, a disporre un’indagine sulla situazione della Multiservizi-Bari SpA (a proposito, che risultati ha raggiunto? Qualcuno l’ha mai stilata o letta? ) dopo il suicidio. Invece a Triggiano, due mesi e mezzo fa, in Chiesa c’erano solo i parenti e nessuno che rappresentasse quel Comune assente come sempre quando in ballo non ci sono autorità o pezzi grossi, ma solo gente comune e che lavora. Certo, non c’era nessuno manco della Multiservizi, a testimonianza che a Via Oberdan la situazione non è ancora del tutto trasparente. E che qualcuno, forse, ha la coda di paglia. Infatti dietro il gesto estremo di Pavone ci sarebbe l’ombra dei ricatti della malavita: “Alla mafia non ci sto” scrisse il custode dell’azienda comunale messa sotto tutela da Emiliano per un anno e mezzo (con scarsissimi risultati, a quanto pare) su un biglietto, prima di lanciarsi dalla terrazza del Polifunzionale di Via Giulio Petroni. “Il biglietto è e serio. Non è un’illazione e va rispettato il gesto estremo d’un uomo”, disse Emiliano davanti alla solita selva di microfoni il 25 giugno dello scorso anno, subito dopo aver ricevuto in forma strettamente privata l’ex moglie, la figlia e alcuni famigliari di Enzo Pavone. Col primo cittadino, nelle prime ore successive alla sua morte, c’erano perfino il commissario della Bari-Multiservizi SpA Giovanni D’Onofrio e il direttore del personale, Emilia Roppo. Poi è bastato poco per vederli sparire tutti, sciogliersi come neve al sole quando non ci sono riflettori e microfoni spianati, ma solo una funzione per ricordare un lavoratore che ha avuto il coraggio di denunciare il malaffare sul posto di lavoro, anche se da oltre un anno sta ancora indagando la Magistratura per capire cosa è successo e sta succedendo nella società di via Oberdan. Dalla prima ricostruzione dei fatti che avrebbero portato Enzo Pavone al suicidio –anche se c’è qualcuno che ha messo in dubbio anche l’estremo gesto- ci sarebbero i provvedimenti disciplinari adottati ingiustamente nei suoi confronti, con una lunga scia di missive indirizzate proprio alla direttrice Roppo rimaste, a quanto pare, senza alcun seguito. Ma se la sua famiglia aspetta ancora giustizia o almeno di conoscere la verità, meno decisa a raggiungere un verdetto sembrano gli amministratori comunali, scomparsi dall’orizzonte d’una società ancora coperta dalle ombre impenetrabili dei clan, degli appalti poco chiari, dei favori e delle assunzioni clientelari. Una scia infinita di irregolarità terminata al centro delle denunce apparse prima su queste colonne, due anni e mezzo fa e poi sulle scrivanie dei pubblici ministeri della Procura di Bari.
Francesco De Martino
Pubblicato il 17 Settembre 2012